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Icona decorativaIcona decorativa20 Giugno 2017 Franco Cagnasso

Un mondo a sé

Da tempo ci si preoccupa perché nessuno sa quali siano i programmi e quale tipo di islam sunnita insegnino le 14.000 “Qwami madrasse” (scuole coraniche) spuntate in tutto il Bangladesh in questi ultimi decenni, con finanziamenti esteri. Alcuni tentativi del governo di vederci chiaro sono falliti di fronte alla reazione furiosa e minacciosa dei responsabili, che non accettano controlli di sorta. Ultimamente, la Primo Ministro ha promesso di equiparare i titoli di studio della Qwami madrasse a quelli statali, una concessione data “al buio”, che non si sa quale effetto pratico possa avere, se non quello di compiacere gli elettori religiosi. Una recente inchiesta giornalistica (The Daily Star, 19 maggio 2017) ha alzato un poco il velo su ciò che accade in queste scuole, che contano un milione e quattrocentomila studenti. Il corso di studi completi, residenziali, dura 20 anni; tutto sembra organizzato “a porte chiuse” per creare un mondo a sé, che preservi e inculchi la santità dell’islam, senza contaminazioni esterne. Nei primi 5 anni, corrispondenti alle elementari, i bambini studiano 4 lingue: bengalese, inglese, arabo e urdu, specialmente queste ultime due. In quinta, iniziano anche con il persiano; si insegnano pure matematica, storia e scienze sociali. Dopo la quinta, il 90% degli studenti non passa alla sesta, ma affronta un corso intensivo, della durata di 4 o 5 anni, per memorizzare il Corano, naturalmente in canto. Un esercizio, dicono, che accrescerebbe molto la capacità intellettuale dei giovani, la loro attenzione, pazienza e perseveranza. Finito questo, quindi dopo 9 anni di studi, si riprende il curriculum dalla sesta, dedicandosi a persiano, arabo e urdu – le principali lingue in cui la cultura islamica si esprime. Si danno pure esami sulla legislazione islamica, logica e filosofia; il bengalese si accontenta di un esame. La storia è “cucinata” in casa, e – ad esempio – si parla molto della scissione dall’India che diede origine al Pakistan (1947), ma si tace completamente sulla guerra che portò alla creazione di un Bangladesh indipendente e secolare, distaccandosi dal Pakistan (1971). Dalla classe nona alla dodicesima (cioè dal tredicesimo al sedicesimo anno di studio) ci si concentra sulla sharia e sulla filosofia islamica, finché, negli ultimi anni, ogni altra materia viene messa da parte. Durante tutti gli studi, è proibita ogni lettura che non sia dei libri di testo, e colloqui con persone esterne richiedono il permesso. Si crea una “classe” di giovani che fa storia a sé, molto solidale, orgogliosa e unita, da cui è facile trarre elementi per impegni politici in partiti islamici. Aggiungo che una mia visita – anni fa – ad una scuola coranica del sud, allora abbastanza aperta da permettere a me, uno straniero non musulmano, di entrare, ascoltare e fare domande, mi ha impressionato per la durezza della vita che questi ragazzi affrontavano. Ambiente poverissimo, orari per il sonno assolutamente insoliti, studiati in modo da facilitare la memorizzazione; ricreazione (gioco a calcio) ridottissima, spazi molto ristretti, nessuna “privacy”. Con questa preparazione, i giovani possono poi dedicarsi a studi islamici, “offrendo soluzioni a problemi religiosi”, insegnare in altre madrasse, guidare comunità nelle moschee – ma non hanno altri sbocchi, nonostante la formale equiparazione concessa dalla Primo Ministro. “Con questo sistema educativo isolato – commenta un professore universitario – le prospettive per una possibile radicalizzazione sono allarmanti”.

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