Vendetta
Nonostante la barbetta ben curata e la pulizia, il lunghi e le ciabatte che indossa non fanno pensare che sia un avvocato, e tanto meno che sia il proprietario dell’agenzia viaggi in cui entro. Mi saluta cordialmente, un po’ in inglese e un po’ in bengalese, con la malcelata speranza – mi pare – di poter parlare nella sua lingua madre. Conosce tanti missionari, ricorda in particolare Fratel Mario Fardin, che durante la guerra (1971) lo aiutò più volte a sopravvivere e a salvare qualcosa di ciò che la sua famiglia possedeva, non lontano dalla missione. Parla, parla, salta fuori che mi ero sbagliato: la sua lingua madre non è il bengalese perché – mi spiega – “Sono uno dei cosiddetti “bihari“” Si tratta degli abitanti dello stato indiano del Bihar che, alla fine del dominio coloniale britannico, fra India e Pakistan scelsero quest’ultimo e vi si trasferirono, pensando di potervi meglio praticare la religione islamica. Nella loro nuova patria, si sentirono a casa per poco. Il movimento di indipendenza, e poi la guerra li spiazzarono completamente, trasformandoli da “fratelli di fede” in collaborazionisti traditori. “Fu un periodo durissimo, e un giorno, mio padre, madre, fratelli, cugini, vennero fucilati tutti, proprio là dove si erano rifugiati pensando di trovare protezione. Nessuno di loro era combattente, ma erano bihari! Io mi salvai perché mi trovavo lontano.” L’avvocato parla senza rabbia, e quasi fra sé e sé prosegue a mezza voce: “Hasina pure, qualche anno dopo (1975), ebbe la famiglia sterminata e si salvò perché si trovava a Londra. Ora che è primo ministro organizza i processi per crimini di guerra e atti contro l’umanità, e appoggia le condanne a morte. Ha potuto prendere la sua vendetta perché la sua parte ha vinto, ma io non posso dire a nessuno che la mia famiglia ha subito questi crimini: sono un bihari e non posso avere vendetta. O giustizia?”
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