Vento
“Eccoli qua, gli eroi dell’India!”. Con un gruppo di 15 seminaristi del PIME che studiano filosofia, mi trovo alla stazione di Pune (India), spaziosa, pulita e quasi vuota per attendere il treno che ci porterà a Khandamala, sulla linea che da Pune scende a Mumbay. Là saremo ottimamente ospitati dalle “Suore di Gesù e Maria” in un tranquillo posto di media montagna per alcuni giorni di ritiro spirituale. “Gli eroi dell’India”, come mi sussurra ironicamente uno dei seminaristi, sono due giovani che attraversano rapidamente l’ampia biglietteria, guardandosi con aria arrogante. Indossano la stessa maglia giallo-arancione. “Chi sono, i vigilantes?” domando. “Sì, si sono proclamati guardiani dell’induismo “autentico”. Hanno picchiato e anche ammazzato musulmani per aver macellato una mucca, hanno assaltato villaggi cristiani. Se dicono alla polizia di arrestarti, la polizia prima ti mette in galera, poi chiede loro quale sia l’accusa: la legge la fanno loro…”. Un altro seminarista che ascolta viene dallo stato di Orissa, e aggiunge che uno dei villaggi distrutti è molto vicino a dove abita la sua famiglia. Queste notizie le conoscevo, ma dieci giorni in India, un’occhiata ai giornali, qualche chiacchierata, articoli, discorsi, fanno capire che l’India dai mille volti, ritenuta tollerante, sostanzialmente capace di accogliere diverse religioni, tenendo una posizione che noi in Italia definiremmo “laica, ma non laicista o antireligiosa”, sta cambiando. L’induismo è apertamente usato come strumento per vantaggi politici, e per alimentare un nazionalismo integralista fino a pochi anni fa ritenuto in calo, quasi un residuato oscurantista. “O indù o fuori dall’India”, si sente dire, e i vigilantes non esitano ad accusare e portare in tribunale persone che si siano convertite ad altre religioni, o che predichino una religione diversa. Le divisioni di casta – proibite dalla costituzione – riemergono senza “censure”, alcuni stati stanno facendo di tutto per espellere dal loro territorio altri indiani, se provenienti da uno stato diverso… Non manca certo chi si oppone a queste tendenze: la reazione all’ondata di stupri e violenze sulle donne verificatisi in questi ultimi tempi, o più probabilmente venuti alla luce anche se in atto da secoli, è un segno che molti sanno anche rimettere in discussione tradizioni culturali e religiose non più accettabili. Ma l’atmosfera è tesa, e sembra irreale, di fronte all’enorme sviluppo economico, tecnologico, edilizio, nelle comunicazioni, ecc. che l’India sta vivendo.
Il vento è cambiato, e c’è aria di bufera.
Aggiunta fuori tema: nella scheggia “Dove andiamo?” (1), di qualche settimana fa, ho fatto un riferimento alla guerra che ha portato alla nascita del Bangladesh, scrivendo che è stata combattuta nel 1978. Errore grave! L’anno dell’inizio e della fine di quella guerra, e l’anno dell’indipendenza del Bangladesh, è il 1971. Chiedo scusa.
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