Viaggio – 1
Qualche settimana fa mi lanciai in un coraggioso esperimento: “ispirato” dalla notizia della prossima canonizzazione di Charles de Foucauld, scrissi alcune schegge a puntate (assoluta novità editoriale), e per di più parlando della mia storia personale. Pensavo che l’iniziativa mi avrebbe fatto perdere almeno un milione dei miei affezionati lettori, invece… ne ho guadagnati 2 (no, non due milioni, due lettori!). Ingolosito dallo strepitoso successo, riprovo, narrando a puntate un viaggio compiuto recentemente: un modo per parlare di dove siamo e che cosa facciamo, cioè qualche cosa che forse finora ho “scheggiato” poco…
P. Gian Paolo Gualzetti, lecchese fino al midollo, è un ottimo autista e un famoso viaggiatore. Gestendo un pulmino avuto in regalo da Gisella e Vittorio con amici, trasporta passeggeri e merci di ogni tipo, e quando parte sa dove arriverà. Ciò che non sa esattamente è quando, e ancor meno dove, e con chi, farà tappa. Partendo, prevede sempre qualche “piccola” deviazione con visita, ma viaggiando vengono in mente altre possibilità, i ricordi si risvegliano, deviazioni e tappe diventano una tentazione. A Dhaka, dove ha fondato una parrocchia di “urbanizzati”, Gian Paolo ha conosciuto persone provenienti da tutto il Bangladesh, e ora che dirige il “Centro Gesù Lavoratore” in località Zirani (quaranta chilometri a nord ovest di Dhaka) ne conosce molti altri, quasi tutti giovani, alcuni dei quali sono vissuti con lui e con le suore del PIME al Centro. Li ricorda e li incontra volentieri, oppure passa a salutare mamme, sorelle e papà portando e ricevendo notizie. Di solito non avvisa: meglio arrivare all’improvviso, piuttosto che mobilitare la famiglia intera per assassinare polli, impastare dolci, preparare collane di fiori per l’accoglienza, radunare il vicinato… e poi sentirsi in colpa se non si fa abbastanza onore mangiando a quattro palmenti, a rischio di addormentarsi poi mentre guida verso la meta. Ogni crocicchio, bivio, viottolo gli fa venire in mente… ah, da queste parti abita la famiglia di Shilpy, che è venuta a Zirani dimenticando a casa il golf… passiamo, lo prendo e glielo porto… Più avanti c’è una coppia che ho sposato sei mesi fa… I passeggeri, se non sono nervosi e affrettati, scoprono villaggetti, famiglie, giovani e anziani che accolgono volentieri, fanno festa, danno notizie ne ricevono, garantite dall’autorevolezza del Padre…
Questa volta è toccata me, unico passeggero di un viaggio Dhaka-Dinajpur – circa 350 km, senza contare le digressioni. Si parte alle 9.40 di sabato 16 gennaio. Orario insolito: Gian Paolo, noto lavoratore notturno, era abituato a viaggiare solo di notte, ma ora parte la mattina prestissimo, perché con il passare del tempo anche la notte è diventata sovraffollata di traffico come il giorno, e tutti viaggiano con gli abbaglianti accesi: un fastidio incredibile e un rischio notevole. Solo tra la fine della notte e l’inizio della giornata, si può trovare una strada quasi libera e viaggiare abbastanza velocemente. Attraversiamo la vasta area industriale di Savar. Ogni volta, arrivando al bazar più grande della città, torna alla mente la strage di 1.200 operai che avvenne qualche anno fa proprio lì, quando crollò un palazzo di cinque piani che ospitava varie fabbriche, e anche il Centro Gesù lavoratore ebbe le sue vittime. Più avanti si attraversa la EPZ – area industriale “a statuto speciale, la cui produzione è esclusivamente destinata all’esportazione, tanto che le merci sono sottoposte a controlli doganali. Nelle ore di cambio dei turni di lavoro, fiumi di lavoratrici e di lavoratori entrano ed escono in fretta, a piedi, o scendendo da autobus fatiscenti che si fermano in tutte le possibili posizioni ostruendo le strade. Si ricorda allora una carissima coppia di amici italiani che aveva avviato là una fabbrica di tessuti, a mio parere un “esperimento” di vera missionarietà laicale. Fabbricare tessuti… missionarietà laicale? Sì. Hanno realizzato una realtà industriale che cercava il profitto, come fa ogni azienda seria, ma dando assoluta importanza ai rapporti umani, alla sicurezza, alla giustizia, all’onestà, al rispetto e alla fiducia, alla sostenibilità ecologica. Impegni non piccoli, perseguiti con tenacia, fatica e successo, finché problemi di famiglia li hanno costretti a vendere e tornare in Italia. Ora la fabbrica continua a produrre, ma la buona fama che aveva (chi lavorava “da Berto” era invidiato da tutti!) e la stima che riscuoteva si stanno dissolvendo nella normalità…
Arriviamo al Centro Gesù lavoratore in meno di due ore, non c’è male, visto l’orario. Ci accoglie P. Piero Parolari, compagno di servizio in questa iniziativa unica in Bangladesh, che pian piano si sta facendo conoscere e anche apprezzare dal clero locale, all’inizio indifferente o sospettoso. Un’occhiata ai due edifici del Centro inevitabilmente fa pensare a Alberto Malinverno, l’ingegnere volontario dell’ALP (Associazione Laici PIME) che li ha disegnati e ne ha curato la costruzione, dando un tocco che i vari architetti dilettanti della nostra comunità non sanno a dare. Passiamo a salutare le tre suore che stanno qui, fra cui suor Pauline, in attesa di partire – virus permettendo – come missionaria in Brasile. Un’attesa dinamica a dire il vero, perché suor Pauline conosce quasi tutti, e non le piace star ferma ad aspettare che qualche cosa succeda…
Dopo pranzo, accogliamo anche noi il pulmino delle Suore che arrivano da Khulna: sono in corso “trasferimenti” di superiore delle loro comunità – un andirivieni che ogni anno avviene a gennaio.
Poi, pomeriggio tranquillo, guardando i cambiamenti che avvengono attorno. Lo spazio accanto a noi a sinistra era stato riempito di “container” vecchi, scassati, arrugginiti, messi lì come segno di possesso da parte di uno dei vari che si contendono la proprietà del terreno. Ora i container sono spariti, ma non so chi abbia “vinto”… Dalla parte opposta, c’è un fiumiciattolo lento, perennemente blu intenso per gli scarichi di alcune tintorie. Il terreno fra il fiume e il nostro recinto, regno di anitre e topi, ora è completamente occupato da mucchi di spazzatura accanitamente ispezionati da selezionatori che recuperano e rivendono quasi tutto. Il riciclaggio artigianale è un’arte molto praticata in Bangladesh, attuata con grande ingegnosità da molti poveri, soprattutto bambini e donne, con altissimo rischio per la salute. Dietro il nostro edificio, una miriade di stanzette precarie affittate a lavoratori con pochi mezzi, e davanti uno spazio non grande ma considerato campo da calcio, e pure giardino di giochi per i bambini dell’asilo nido che permette a numerose mamme e papà di andare al lavoro, lasciando i figli in buone mani. Pochi anni fa c’erano risaie ovunque, ora il panorama è complesso: industrie, discariche, spazi vuoti, negozietti.
Una piccola moschea là vicina ha altoparlanti ben orientati, potentissimi; il richiamo alla preghiera del tramonto accompagna l’inizio della celebrazione della nostra Messa; siamo solo in tre, tutti sono negli stabilimenti, in cucina, sulle strade, al bazar, qualche devoto alla moschea… (continua)
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