Viaggio – 3
Pochi chilometri oltre la scuola e l’ostello degli Avventisti, attraversiamo un bazar da dove si diparte una strada che percorsi anni fa, alla ricerca di una zona ancora afforestata dove, a quanto avevo sentito dire, si trovavano famiglie non cristiane e cristiane di varie denominazioni. Appartengono ad una popolazione in parte assimilata ai bengalesi – specialmente indù – insediatasi in ordine sparso in varie aree del Bangladesh. Le sue origini sono discusse, le tradizioni indebolite fino a scomparire; culturalmente, socialmente ed economicamente il gruppo è in gravi difficoltà.
Cercai la casa di una famiglia che conoscevo, e in breve tutti seppero che era arrivato uno straniero. Iniziò una raffica di inviti pressanti, perché ciascuno voleva esprimere la sua gioia e offrire un tè, per passare poi, senza altri preamboli, a richieste molto concrete e insistenti: riparazione della casa, terreno per una cappella (vorremmo proprio diventare cattolici!), cure mediche, scuola per i figli, acquisto di una mucca, e via chiedendo. M’indicarono anche una casa, un po’ in disparte, per visitare un’ammalata. Era sui vent’anni, debilitata, in condizioni che apparivano gravi. Mi assicurarono che aveva fatto diversi esami in vari ospedali, ma occorrevano soldi per farne ancora. “Potreste accompagnarla al nostro centro per i malati di tubercolosi”. “No, non ha la tubercolosi, dacci i soldi, ci pensiamo noi”. L’ammalata mostrò di ricevere volentieri una benedizione, poi telefonai a suor Berchmans, allora direttrice del Centro Assistenza Malati, che mandò l’ambulanza per portarla a Rajshahi (circa 100 chilometri di distanza), dove sapevo che avrebbero fatto le cose bene. In seguito, suor Berchmans mi disse che la giovane aveva rischiato di morire durante il viaggio, ma ce l’aveva fatta, ed effettivamente aveva una grave forma di tubercolosi ormai avanzata. Dopo pochi mesi stava bene e ritornò a casa.
Da allora la mia fama (!) si è diffusa, e ancora oggi, dopo oltre 10 anni, ogni tanto qualcuno telefona dicendomi che ci conosciamo benissimo, ci siamo visti proprio in quel giorno famoso, e ora lui o lei si aspetta… no, non una benedizione, ma che io l’aiuti con qualche donazione più concreta: se avevo aiutato allora, perché non anche adesso? Che cosa sono queste preferenze?… Molti pensano di aver diritto a ricevere aiuti economici, perché questo è “il mestiere” dei missionari – se così non fosse, perché mai vengono qui? E a quale scopo mio zio s’è fatto battezzare, mio cugino ha “confessato che Gesù è il salvatore” e il Pastore tal dei tali ha fatto riparare i tetti delle case a chi va nella sua chiesa? A parere non solo mio, l’approccio con questo popolo da parte dei missionari di diverse confessioni è avvenuto in modo concorrenziale e decisamente sbagliato, e pur non essendone l’unica causa, ha contribuito ad accrescere una mentalità passiva e dipendente, che non li ha aiutati affatto, e che ha reso i rapporti ambigui e difficili. Mi piacerebbe ritornare a quel villaggio, ma non lo faccio per non rinvigorire la “caccia”, che saltuariamente continua con ammirevole tenacia, nonostante tutti i miei “no”…
Più avanti, proseguendo su una circonvallazione, lasciamo alla nostra sinistra Mirzapur, la cittadina dove si trova una delle opere benefiche meglio organizzate ed efficaci che io conosca in Bangladesh. Si tratta del “Kumudini”: ospedale ampio e di buona qualità, con prezzi contenuti, scuola infermiere, e ora anche corsi di laurea in medicina. Kumudini è il nome di una donna che all’inizio del secolo scorso morì dando alla luce il figlio, Ranada Prasad Shaha. Di famiglia indù molto ricca, Shaha custodì in sé la pena per la morte della mamma che non aveva potuto conoscere, e decise di fare qualche cosa per migliorare i servizi sanitari del Bengala (allora parte dell’India e colonia britannica), specialmente per le donne. Creò una fondazione che 88 anni fa incominciò i suoi servizi con grande attenzione ai poveri.
Nel 1971, quando le opere della Fondazione erano parecchie e stimate, durante la guerra che portò il Bangladesh all’indipendenza l’esercito Pakistano sequestrò Shaha e suo figlio, e fino ad ora nessuno sa come e dove siano stati uccisi. Era la “politica” del Pakistan: battere la rivolta decapitando il Bengala dei suoi uomini migliori. Ma la fondazione è sopravvissuta grazie all’impegno di altri famigliari, e ora gestisce diversi ospedali, scuole, ostelli femminili, e centri di ricerca in varie parti del Paese. La più recente iniziativa è un nuovo ospedale a sud di Dhaka, con trecento letti e una sezione specializzata per cura e ricerca sui tumori, con 50 posti.
L’ambiente e l’atmosfera al Kumudini sono aperti, professionalmente buoni, attenti alle persone. I corsi per infermiere e infermieri sono considerati ottimi. Fratel Joseph Aind, missionario del PIME ora in Cameroun, li ha frequentati anni fa come parte della sua preparazione, e ne è rimasto soddisfatto – non solo perché circondato da ben 70 studentesse… Pure chi non può pagare è ammesso: rimborserà lavorando, non ricordo se per due o tre anni, con stipendio ridotto al Kumudini stesso. Fra le studenti, sono numerose le suore e giovani cristiane, a cui viene dato spazio per vita comune, preghiera, celebrazione domenicale della Messa – responsabilità che ultimamente è ricaduta proprio su p. Gian Paolo, che viene spesso qui a celebrare o per accompagnarvi ammalati.
(continua)
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