Vita nuova
Vita nuova
“Anno nuovo, vita nuova” è una delle banalità che si dicono nei giorni di fine e inizio anno, non fanno male a nessuno, ma certo non mi entusiasmano…Però quest’anno, forse… qualcuno avrà esperienza di un po’ di “vita nuova” reale e non solo augurata. Lo spero, e mi spiego prendendola alla larga.
Mi ha dato varie volte fastidio mons. Thetonius Gomes, vescovo emerito di Dinajpur, nonché ex ausiliare di Dhaka perché – conoscendo la sua passione e le sue iniziative per persone che hanno forme diverse di disabilità – quando ci incontriamo lo aggiorno sulla comunità “Snehonir”. Ascolta con un leggero sorriso, fa un cenno di assenso e inevitabilmente commenta: “Però, non trascurare le disabilità mentali…”. Una pulce nell’orecchio.
Pochi anni fa, vidi entrare nel cortile della parrocchia di Mirpur una donna sui 35 anni, in lacrime, seguita da un bambino che la guardava perplesso. “Ho due figli – mi disse – uno è qui, e l’altro è a casa; non gli funziona la testa. Venivo tutti i giorni con lui, al vostro “Centro di assistenza” pomeridiano nei locali della scuola. Sono musulmana, ma ci stavo benissimo, erano momenti di respiro, di amicizia con altre mamme, di giochi, di sfoghi e confidenze, e preghiere. P. Quirico era un papà… Ora la mia famiglia deve trasferirsi nel quartiere di Uttora, e non potrò più venire. Ho cercato ovunque nella zona… ma iniziative così non ne ho trovate. Venga, venga a vedere dove eravamo chiusi mio figlio e io, prima di conoscervi…” L’ho seguita; nel palazzo vicino, dove due stanze piccole piccole ospitano i genitori, la suocera, i due figli, la cucina e gli attrezzi del papà, elettricista. Spazi per muoversi, zero. Dalla finestra si contempla il muro del palazzo accanto: meno di un metro e mezzo di distanza… Più tardi, quando il PIME ha consegnato alla diocesi la parrocchia, la scuola, e il modestissimo “Centro” che quella donna frequentava, il nuovo parroco lo ha chiuso – non so perché.
Così, alla pulce del monsignore nel mio orecchio s’è aggiunta quella della mamma privata del ristoro che trovava da noi.
Conosco da anni Naomi Iwamoto, missionaria laica giapponese con cui occasionalmente ho collaborato alla Comunità dell’Arche a Mymensingh: tre gruppi, in tutto 24 giovani e adulti con disabilità mentale. Nella nostra prima conversazione mi aveva detto: “Le persone con disabilità mentale sono le più vicine a Dio. Perché capiscono subito, e spesso capiscono soltanto il linguaggio degli affetti, dell’amore. E Dio è amore”. Un bel giorno Naomi mi informa che, dopo 23 anni, sta per lasciare l’Arche, perché – mancando qualcuno che potesse sostituirla – i termini di tempo fissati dalle regole sono già stati da tempo ampiamente superati. Mi confida che non sa che fare: lasciare la vita con persone disabili, per restare in Bangladesh, o restare in Bangladesh lasciando i disabili mentali perché non c’è un’altra comunità?
Ed ecco arrivata la terza pulce: tre sono insopportabili; che si possa fare qualcosa?
Ne parlo con p. Francesco, il quale subito mi dice: certo che si può, va avanti. In seguito, altri missionari esprimono simpatia e disponibilità, e così nasce un progetto insolito perché, contro ogni raccomandazione, norma, metodo, delle ONG (Organizzazioni Non Governative) non è assolutamente preciso e dettagliato: costruzioni, metri quadri, tempi di consegna, previsioni di spesa, fotografie, sostenibilità nel tempo, ecc. ecc. Il progetto ha un obiettivo, che Naomi ha subito descritto inventando il nome: “Joy Joy” (in inglese: “gioia gioia”, e in bengalese “vittoria vittoria”). Il progetto vuol portare gioia in situazioni che tutti considerano infelici, disgraziate, sfortunate, di emarginazione e anche di pregiudizio e disprezzo. Ma come? Prima di tutto cercando, nelle “pieghe” della società di Dinajpur e dintorni, famiglie alle prese con i problemi della disabilità di un loro membro, che spesso cercano di tenere nascosto. Partiamo dai piccoli, meglio dalle piccole, perché sono le bimbe le prime vittime dei numerosissimi abusi sessuali su disabili, perpetrati spesso senza il minimo ritegno o scrupolo; ma inevitabilmente arriviamo subito alle mamme, le persone che oggettivamente soffrono di più, condannate non tanto ad assistere la bimba inabile, quanto al disprezzo e all’isolamento, spesso a partire dai loro stessi mariti.
In sostanza, si vuole mettere a frutto esperienza, preparazione, conoscenze e vocazione di Naomi, che si occuperà anzitutto di cercare queste persone. Informate a proposito di “Joy Joy”, alcune delle 1200 donne dell’area di DInajpur, tutte con disabilità fisiche, che da anni sono unite in una associazione di aiuto reciproco, si sono offerte a fare da apripista, perché ad una giapponese, dunque straniera, e cristiana, dunque di altra religione, si aprano le porte di famiglie bengalesi, musulmane, o aborigene. Speriamo che il progetto prenda forma, plasmato dalla scoperta delle situazioni quotidiane delle famiglie, nonchè dai consigli e dalla collaborazione delle mamme – che dovranno esserne protagoniste. Ipotizziamo un semplicissimo Centro come quello che c’era a Mirpur e di cui ho parlato all’inizio, che potrebbe avere sede nei locali delle scuole o ostelli parrocchiali che il PIME gestisce a Dinajpur. Se, conosciuta la situazione, ci sembrerà che ci siano iniziative migliori da prendere, lo faremo. Per ora immaginiamo già i pasti di venti bambine disabili e rispettive mamme, insieme a centinaia di coetanei che mangiano, giocano, corrono accanto e con loro, e presto impareranno che anche la disabilità è “normale”. Altri venti bimbi e bimbe vorremmo seguirli a casa loro. Con le mamme che si aiutano e che – gradualmente – prenderanno sempre maggiori responsabilità fino a poter continuare senza di noi. Tutto ciò richiede tempo, impegno, persone competenti, e anche soldi. Da dove? Il PIME con i suoi progetti ci darà una mano, e vari amici dal Giappone faranno altrettanto.
Tornando al capodanno, mi auguro che per quelle donne, e per le loro famiglie, sarà davvero “anno nuovo, vita nuova”: non un augurio generico e privo di contenuti, ma una realtà, per quanto modesta. Poi, il modo per andare avanti si troverà. Auguri, Joy Joy!
p. Franco Cagnasso
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