Repressa nel sangue una manifestazione dei contadini a Kidapawan, nelle Filippine. Il riso a disposizione degli uffici municipali per l’assistenza alla popolazione rimane sempre una manciata insufficiente; mentre cifre da capogiro finiscono in questi giorni nelle spese elettorali e nei meandri della corruzione
Sale la febbre elettorale nelle Filippine (9 maggio) e con essa le mosse azzardate e i passi falsi. L’ultimo è stato compiuto a Kidapawan, provincia di Nord Cotabato sull’isola meridionale di Mindanao, ed ha visto colpevoli protagonisti politici locali, candidati presidenziali, gruppi di opposizione, forze di polizia. Ci sono state delle vittime: un passante e due poveri contadini morti; decine di coltivatori e di semplici poliziotti feriti, alcuni gravemente.
L’epilogo violento, innescato dalla polizia, si è verificato la mattina del 1 aprile alla periferia orientale della città, dopo che da quattro giorni alcune migliaia di persone – in realtà non tutti contadini e non tutti del posto – avevano bloccato la principale arteria di comunicazione tra Cotabato e Davao, terza città del paese. Chiedevano la consegna seduta stante di 15 mila sacchi di riso da parte delle autorità provinciali per le famiglie più colpite dalla siccità a seguito del fenomeno internazionalmente noto come El Niño. Non era però difficile notare cartelli e manifesti di tutt’altro genere a difesa dei movimenti insurrezionali di sinistra e contro la strategia governativa (Oplan Bayanihan, Iniziativa di solidarietà) tesa al contenimento della branchia armata (New Peoples’ Army, Nuovo esercito del popolo) del Partito Comunista delle Filippine. Il doppio ed equivoco obiettivo della manifestazione sarebbe risultato evidente nei giorni successivi, quando numerosi contadini avrebbero spontaneamente ammesso di essere stati convinti a recarsi in città semplicemente per ritirare del riso già messo a disposizione dalle autorità. Il cardinale Orlando Quevedo di Cotabato si è espresso ieri contro ogni manipolazione dei contadini affamati a favore di qualsiasi programma o gruppo ideologico e politico.
Rimane però molta strada da fare verso la giustizia e l’equità sociale per il ben più attrezzato apparato governativo, che si trova sempre in difficoltà, mal organizzato e a corto di risorse di fronte alle numerose calamità. La siccità va avanti da ottobre. Sono già saltati un paio di raccolti. Ma il riso a disposizione degli uffici municipali per l’assistenza alla popolazione rimane sempre una manciata insufficiente; mentre cifre da capogiro finiscono in questi giorni nelle spese elettorali e nei meandri della corruzione. Tra i candidati presidenziali espressi dal sottobosco politico di Manila non ce n’è uno che faccia ben sperare per la lotta alla povertà. Emerge la figura di Rodrigo Duterte, da una vita sindaco di Davao (se non lui un familiare), per il quale però la legge è un’opzione e le ronde private contro criminali e spacciatori la vera forza di polizia urbana. È però anche l’unico che può trattare con l’insurrezione di sinistra e forse pervenire ad un accordo di pace. Se fosse di Manila Duterte vincerebbe le elezioni presidenziali a man bassa, come Ejercito Estrada nel 1998; ma essendo una figura periferica di Mindano la cosa rimane incerta fino al conteggio dopo il 9 maggio.
È stata quasi certamente la promessa visita di Duterte ai contadini e agli attivisti di Kidapawan, un feudo politico del presidente Benigno Aquino e del suo candidato alla successione Mar Roxas, il 1 aprile a far precipitare la situazione. Piuttosto che passare la mano al campo avversario, per una trattativa che avrebbe potuto avere più successo e bruciarla di fronte ai suoi padrini politici a Manila, la governatrice Lala Taliño-Mendoza in mattinata ha rotto gli indugi e ha mandato la polizia a liberare la superstrada. Tanto più che i leader della protesta avevano già rifiutato ogni compromesso, compreso il ritorno di ognuno alle proprie case e la consegna del riso nei luoghi di residenza, una soluzione già adottata con El Niño del 1998 in identiche circostanze.
Sarebbe bastato alla dinamica diocesi di Kidapawan (possibilmente insieme ad altre Chiese cristiane minoritarie, ma attive), per prevenire una manifestazione così equivoca, catastrofica e politicizzata, farsi interprete per prima della tragedia dei contadini che hanno perso i raccolti, muoversi al di fuori di ogni logica politica, tener distinto il problema del riso da quello dell’insurrezione armata di sinistra e del conflitto sul territorio tra l’esercito e il New People’s Army. Il card. Orlando Quevedo ha ragione naturalmente a scagliarsi contro i gruppi che sfruttano la fame dei contadini per il proprio programma ideologico; ma occorre muoversi di conseguenza, precedendone l’iniziativa; e ben sapendo che dei funzionari e delle autorità governative non ci si può fidare a sufficienza. Tantomeno in un tempo di così grave distrazione elettorale.