Un commerciante cristiano e un indù le vittime negli ultimi giorni dell’ondata di violenze che in tre anni ha colpito anche blogger, accademici, attivisti per i diritti umani. Le autorità locali continuano a negare legami con lo Stato islamico ma la strage non si ferma
Negli ultimi tre anni sono decine gli omicidi che hanno segnato la vita del Bangladesh. Episodi sanguinosi che non sono parte – o almeno non direttamente – del lungo braccio di ferro tra il governo guidato dalla signora Sheikh Hasina Wazed e la politica di ispirazione islamista (e in particolare contro il Jamaat-e-Islami). Non sono nemmeno conseguenza delle tante tensioni che povertà, disillusione, criminalità, tensioni etniche e, moderatamente, interreligiose suscitano nel Paese, con frequenti scioperi, serrate, proteste e sanguinosi scontri tra manifestanti e polizia antisommossa, quando non militari armati.
Il Paese – vasto la metà dell’Italia ma sovrappopolato di 170 milioni di abitanti, povero di risorse ma con abbondanza di rischi dovuti alle sue caratteristiche fisiche – resta segnato da tante necessità, dall’aiuto internazionale e dalla pressione sulla sua manodopera, tra le più a buon mercato sulla scena asiatica da parte degli investitori stranieri. Va ricordato che l’industria dell’abbigliamento e degli accessori dà lavoro a quattro milioni di bengalesi, con un reddito per il Paese di 20 miliardi di dollari, maggiore voce del suo export.
È questa situazione complessiva a favorire il transito di molti giovani da un attivismo religioso per quanto estremista ma all’interno di organizzazioni ancora (o un tempo) legali, a gruppi militanti, spesso infiltrati da ideali jihadisti di origine straniera e in particolare da al Qaeda o dai suoi emuli nell’Asia meridionale. Anche l’autoproclamato Stato islamico – che dai bastioni mediorientali che sembrano ora sgretolarsi ha esteso ufficialmente da un paio d’anni ramificazioni nella regione – sembra catalizzare almeno l’attenzione delle frange estremiste dell’islam locale, anche se non sono certe adesioni operative. Sicuramente, le autorità di Dhaka continuano a negare validità alle rivendicazioni dello Stato islamico, che abitualmente appaiono sul sito jihadista Amaq, monitorato dall’organizzazione statunitense Site. Dietro c’è la volontà di non incentivare un’emulazione e di non promuovere la presenza di network terroristici internazionali nella realtà locale, ma anche di far ricadere le responsabilità sui movimenti di opposizione. Tuttavia sarebbero almeno 11 gli omicidi che lo Stato islamico si è attribuito finora.
Ultimo Ananda Gopal Ganguly, esponente della minoranza indù, secondo esponente di questa fede assassinato dall’inizio dell’anno, ritrovato martedì in una risaia dopo essersi recato al tempio per le celebrazioni quotidiane. Sempre il sedicente Stato islamico aveva rivendicato l’omicidio- domenica socrsa, ancora con armi da taglio – di un cristiano, un commerciante di prodotti ortofrutticoli della stessa regione di Rajshahi. Sunil Gomez era stato fermato da uomini in motocicletta – come da prassi per questo genere di aggressioni – e assassinato mentre rientrava dalla Messa.
Poche ore prima, all’opposto orientale del Paese, nella città di Chittagong, era stata uccisa (questa volta a colpi di pistola) Mahmuda Khanam Mitu, moglie di un ufficiale dell’antiterrorismo impegnato proprio contro i gruppi locali ispirati da Al Qaeda.
Sono solo gli ultimi eventi di una catena di aggressioni e omicidi contro musulmani laicisti, esponenti delle minoranze religiose e di gruppi contrari al controllo dei religiosi estremisti sul Paese come accademici, attivisti per i diritti degli omosessuali e blogger. Tra le vittime anche alcuni stranieri, inclusi gli italiani Cesare Tavella assassinato a Dhaka il 28 settembre 2015 e il missionario del Pime padre Piero Parolari, ferito l’8 novembre dello scorso anno a Rangpur, distretto di Dinajpur.
Negli ultimi giorni le autorità hanno ordinato un’offensiva nella regione della capitale e in quella di Rajshahi. Uccisi da lunedì quattro membri del fuorilegge Jamayetul Mujahideen Bangladesh e imposto l’obbligo di un solo passeggero per motocicletta.