Le autorità locali hanno annunciato che dopo la fine del Ramadan riprenderanno le esecuzioni delle condanne a morte per i condannati per sapccio di stupefacenti. Nel braccio della morte ci sono anche una cittadina britannica, un francese e una filippina
Anche l’Indonesia è in procinto di accodarsi al numero di Paesi a maggioranza musulmana che quest’anno segnalano un incremento significativo delle esecuzioni. Nel caso indonesiano, tuttavia, le condanne non sono riferite prevalentemente a reati di terrorismo – come in Pakistan che ha visto centinaia di esecuzioni dopo la fine di una moratoria di sette anni nel dicembre 2014 -, ma a sentenze connesse in maggioranza con gli stupefacenti, una piaga che per il governo minaccia alla stabilità sociale.
A più di un anno dall’ultima esecuzioni collettiva – quella di otto individui tra cui due cittadini australiani il 29 aprile 2015 – le autorità hanno annunciato la ripresa delle fucilazioni per i condannati a morte. In attesa nel carcere dell’isola Nusa Kambangan, al largo della costa meridionale di Java sono 16 condannati che i vari gradi di giudizio hanno autorizzato all’esecuzione immediata. A posticiparla, la coincidenza con il Ramadan e il conseguente spostamento a dopo la festività dell’Eid al-Fitr che il 6-7 luglio chiuderà il tempo del digiuno islamico. Nel braccio della morte, in attesa di affrontare il plotone di esecuzione c’è anche sessantenne cittadina britannica Lindsay Sandiford, condannata per avere contrabbandato cocaina sull’isola di Bali, ma anche il francese Serge Atlaoui e la filippina, Mary Jane Veloso, entrambi esclusi dalla precedente esecuzione. Per loro i rispettivi governi hanno chiesto la sospensione della condanna.
In precedenza, il ministro per la Sicurezza, Luhut Panjaitan, aveva segnalato la disponibilità ufficiale a una nuova moratoria, utile anche a non inasprire i rapporti con i partner economici. Tra questi l’Australia, con il cui governo le relazioni hanno impiegato mesi a normalizzarsi dopo la seconda fucilazione dello scorso anno, costata la vita anche a Andrew Chan e Myuran Sukumaran. I due, finiti davanti al plotone d’esecuzione per il loro ruolo in un cartello di produttori e trafficanti di droga noto come “Bali 9”, dopo un decennio in carcere in si erano impegnati in attività sociali, ma il ravvedimento non aveva salvato loro la vita. Oltre a loro a finire davanti al plotone d’esecuzione nel 2015 sono stati indonesiani, ma anche stranieri di cittadinanza francese, olandese, filippina, vietnamita, brasiliana e nigeriana.
Al centro della campagna elettorale del presidente Joko Widodo, in carica dall’ottobre 2014, erano state non solo una innovativa politica sociale, la decentralizzazione e la laicità dello Stato, ma anche la lotta dura alla diffusione degli stupefacenti. Le esecuzioni, riprese dopo due anni di sospensione, sono state apertamente condizionate dalle difficoltà economiche e sociali del grande arcipelago asiatico, ricco di popolazione e di risorse ma che fatica a trovare equilibrio e slancio in un contesto globalmente poco propizio. Nel mirino sono finiti soprattutto i responsabili della diffusione di droghe sintetiche, che dilagano negli ultimi anni tra le classi medie urbane.