Domenica il Papa sarà in Azerbaigian, un Paese segnato da un conflitto che non accenna a diminuire. Ecco cosa c’è in gioco.
In Georgia e Azerbaigian Papa Francesco sarebbe dovuto andarci lo scorso giugno, come tappe di un unico viaggio insieme alla visita in Armenia. «Purtroppo non è stato possibile», disse il Papa tornando a Roma da Yerevan, lasciando intendere che le motivazioni per l’impossibilità erano politiche, e cioè lo stallo diplomatico tra l’Azerbaigian e l’Armenia, ancora divise dopo il conflitto per il controllo del Nagorno-Karabakh. È molto probabile che Francesco non mancherà di pronunciarsi ancora per la pace in questa regione.
Ma cos’è il Nagorno Karabakh? E perché si combatte da vent’anni? Mondo e Missione lo ha chiesto a Simone Zoppellaro: giornalista e ricercatore, ha trascorso sei anni lavorando fra l’Iran e l’Armenia, con frequenti viaggi e soggiorni in altri paesi dell’area; è autore “Armenia Oggi” edito da Guerini.
Cos’è il Nagorno-Karabakh?
Il Nagorno-Karabakh è una piccola regione contesa, situata nel Caucaso del Sud. È al centro di una guerra che dura da più di vent’anni fra Armenia e Azerbaigian, e ancora oggi il suo status è oggetto di una controversia internazionale che non ha trovato soluzione. Papa Francesco arriverà in Azerbaigian. Ufficialmente, è parte della Repubblica dell’Azerbaigian fin dall’epoca sovietica, ma a partire dal 1992 si è autoproclamato indipendente, senza però trovare riconoscimento da alcuno Stato al mondo. E così, nella sua lunghissima frontiera, si continua a sparare e a morire. Si tratta di una regione grande quasi come la Basilicata e abitata da circa 150 mila persone. Storicamente, era un territorio plurale da un punto di vista etnico e religioso, ma oggi ci vivono quasi soltanto armeni.
Perché si combatte da vent’anni?
Si tratta di un conflitto esploso alla fine degli anni Ottanta, con l’entrata in crisi dell’Unione Sovietica. La popolazione armena della regione, da sempre maggioritaria, ambiva a ricongiungersi con la patria armena, da cui Stalin in persona l’aveva separata negli anni Venti, assegnandola all’allora Repubblica socialista sovietica dell’Azerbaigian. Così, esplose un conflitto che sfociò nel cessate-il-fuoco del 1994 e sancì la vittoria armena. Vittoria mai resa definitiva da un vero accordo di pace. In Karabakh non ci sono petrolio o grandi risorse in gioco, ma si tratta di un conflitto che si è consolidato – tramite la propaganda che ne è nata e l’idea del nemico – alimentando le diseguaglianze e la mancanza di libertà che caratterizzano i governi della regione.
Lo scorso aprile una nuova escalation…
A inizio di aprile 2016 si è avuta la più grave escalation da vent’anni a questa parte. In quattro giorni di scontri aperti, si sono avuti oltre trecento morti, civili inclusi. Scuole e case colpite, carri armati ed elicotteri abbattuti. Ma anche l’uso di armi vietate a livello internazionale come le bombe a grappolo, usate dall’Azerbaigian contro gli armeni. Sempre in quei giorni, l’azione di un commando azero e l’avanzamento delle truppe di Baku hanno fatto sì che il villaggio di Talish, da parte armena, diventasse un paese fantasma. Se è vero che di escalation ce ne sono ogni anno, quest’ultima, tuttavia, è stata particolarmente preoccupante, e ha rischiato di far saltare completamente il già fragile equilibrio del cessate-il-fuoco. Mai come oggi, la pace è lontana in Karabakh.
Quali interessi e ingerenze esterne?
Per la Russia si tratta di un ottimo canale per la vendita di armi, cosa che fa con entrambi gli attori in campo, ma anche di un modo per tenere sotto scacco una regione strategica. L’Azerbaigian, infatti, è ricco di petrolio e gas. Anche per questo, Europa e Usa chiudono gli occhi di fronte a episodi specifici, come l’utilizzo di bombe a grappolo. D’altra parte, il Nagorno-Karabakh rimane un tallone d’Achille per il governo azero, e così le grandi potenze possono sfruttarlo per ridimensionare le ambizioni dell’Azerbaigian, che negli anni Duemila ha avuto una crescita esponenziale. L’Iran, invece, si è sempre opposto allo schieramento di forze internazionali, che vede come una minaccia al suo stesso confine, assai prossimo alla zona di conflitto.
Perché Papa Francesco ha scelto di andare in Azerbaigian?
Il Santo Padre avrebbe dovuto visitare insieme Georgia, Armenia e Azerbaigian. Ma poi ha anticipato il viaggio in Armenia. Anche l’Azerbaigian è importante per la Santa Sede. Non tanto per la presenza di cattolici assai ridotta, quanto per l’apertura al dialogo religioso dimostrata dal suo governo. Si tratta di una nazione a larga maggioranza musulmana, non esattamente liberale, ma laica da molti punti di vista. Inoltre, la fondazione Heydar Aliyev – che fa capo alla famiglia al potere da decenni – ha finanziato progetti importanti in Vaticano, come il restauro delle Catacombe dei Santi Marcellino e Pietro. Infine, Francesco ha a cuore la riconciliazione fra armeni, turchi e azeri, e non mancherà di pronunciarsi ancora per la pace in Nagorno-Karabakh.