Oggi in Bangladesh si celebra il 44esimo anniversario dell’indipendenza, ottenuta nel sangue nel 1971, a conclusione della guerra di liberazione (Muktijuddho) contro le forze di occupazione del Pakistan
Ma non è una celebrazione come le altre. Il clima politico è incandescente e i rapporti col Pakistan tutt’altro che sereni. Siamo al punto che l’Università di Dhaka ha sospeso ogni rapporto accademico con le università pachistane, finché non venga riconosciuta la verità storica delle stragi compiute quasi mezzo secolo fa. Motivo? Vecchie ferite legate alla storia, tutt’ora lungi dall’essersi rimarginate.
Come “Mondo e Missione” ha già raccontato, il 18 novembre è stata confermata ed eseguita, per impiccagione, pochi giorni dopo, la condanna a morte di due “criminali di guerra”, per fatti accaduti nel 1971. Si trattava di Salauddin Quader Chowdhury – ex ministro e membro del direttivo del partito nazionalista Bnp – e di Ali Ahsan Mohammad Mujahid, segretario generale del partito islamista Jamaat-e-Islami. Erano stati oppositori all’indipendenza del Bangladesh, ma – tornati dopo un breve esilio – avevano ricoperto ruoli importanti nei loro partiti e nel governo.
«La condanna – scrive padre Franco Cagnasso, missionario del Pime e acuto osservatore del Paese – potrebbe essere una con-causa delle azioni terroristiche eseguite nel periodo successivo in varie parti del Paese contro stranieri, cristiani, hindu e templi, simboli del sostegno all’indipendenza, considerata un rifiuto dell’islam nel cui nome Pakistan Occidentale e Orientale avevano formato un’unica nazione».
Non bastassero le tensioni interne, la decisione delle autorità di Dhaka ha provocato forti reazioni politiche in Pakistan. Il governo di Islamabad ha prima espresso preoccupazione per le condanne, poi negato che ci siano state nel ’71 repressioni e stragi. «A sentir loro – sottolinea ancora Cagnasso – l’esercito pachistano fece del suo meglio per tenere il Pakistan unito con vincoli di sincera fraternità, caparbiamente respinto dai “banditi” che volevano separarsi mettendo in pericolo l’islam…».
La storia dice invece che separazione dal Pakistan occidentale costò al Bangladesh (allora Pakistan orientale) la bellezza di nove mesi di aspro conflitto con almeno tre milioni di vittime e circa 400 mila tra donne e ragazze violentate.
La contro-reazione del Bangladesh, sia a livello diplomatico che di società civile non si è fatta attendere. Negli ultimi giorni i media hanno rilanciato innumerevoli testimonianze, rievocazioni, fotografie che ricordano le atrocità commesse e la strategia volta ad annientare la classe colta del Bengala, per tenere unito e sottomesso un popolo di poveri e analfabeti. Il momento più crudo e violento della repressione fu il 14 dicembre 1971, quella che oggi è ricordata come la “giornata degli intellettuali martiri”: quel giorno l’esercito diede la caccia casa per casa a professionisti, intellettuali, insegnanti, scienziati, artisti, massacrandoli indiscriminatamente. Solo due giorni dopo il Pakistan avrebbe firmato la resa incondizionata all’esercito indiano. Oggi a Dhaka, capitale del Bangladesh, un memoriale ricorda la strage degli “intellettuali martiri”.
Un episodio non meno cruento si era verificato anni prima, il 21 febbraio 1952: quel giorno, infatti, centinaia di studenti e cittadini comuni del Bangladesh vennero brutalmente uccisi dall’esercito pachistano durante una delle più importanti manifestazioni indette dal popolo per la salvaguardia della lingua bengali.
Tali manifestazioni furono la risposta popolare all’imposizione, da parte dell’allora presidente del Pakistan, Muhammad Ali Jinnah, della lingua urdu come unica lingua ufficiale di Stato. Ma che allora veniva parlata solo dall’élite intellettuale e dalla classe dirigente del Pakistan occidentale, mentre nel Pakistan orientale si parlava (e si parla tuttora) il bengali.
Dopo le proteste di numerosi intellettuali del futuro Bangladesh, si scatenò la rivolta popolare. La manifestazione del 21 febbraio a Dhaka fu la più imponente di una serie di proteste e scioperi da parte del popolo del Bangladesh e venne repressa nel sangue dall’esercito pakistano.
A 44 anni di distanza, insomma, le ruggini del passato non si sono ancora sciolte e in quell’angolo di Asia si avverte molto forte la necessità di una “purificazione della memoria” profonda, quella purificazione che Papa Giovanni Paolo II insistentemente e ripetutamente chiese per superare i traumi del passato, in vista di una pace autentica e duratura.