Secondo quanto riportato da alcune fonti, la Corte suprema del Bangladesh sarebbe impegnata a togliere all’Islam il ruolo di religione ufficiale di Stato. Un declassamento storico che mira a limitare gli attacchi jihadisti sul territorio e che piace soprattutto alle molte minoranze religiose presenti nel Paese.
Ha l’apparenza della provocazione, ma per molti potrebbe essere sia una soluzione concreta alla minaccia già concretizzata dall’estremismo radicale sovente connesso alla politica, sia uno strumento per bloccare la crescente influenza di movimenti jihadisti globali, a partire dall’Isis che cerca in ogni modo di estendere la sua influenza nel Sud-Est asiatico.
Ma di cosa stiamo parlando? La Corte suprema del Bangladesh è stata indicata da diversi mass media come impegnata a considerare sollecitazioni atte a togliere all’Islam il ruolo di religione ufficiale. Un declassamento della fede maggioritaria che vorrebbe limitare i frequenti e anche mortali attacchi contro esponenti di minoranze religiose e di elementi laicisti contrari all’influenza della religione sulla società che sia frutto di imposizione.
Il 21 febbraio un officiante indù è stato ucciso, ancora una volta con coltellacci, da individui che hanno assalito il tempio di cui era responsabile. Feriti anche due devoti presenti. Ancora una volta Isis ha rivendicato il fatto di sangue su Twitter con un comunicato della sua agenzia d’informazione Amaq. Ancora una volta una rivendicazione segnalata da Site, gruppo internazionale che si occupa da tempo di verificare le attività su Internet dell’auto-proclamato califfato.
Una iniziativa in sordina, quella della corte, per non suscitare ulteriore animosità. Ricordiamo, dopo l’ondata di aggressioni anche letali verso intellettuali e blogger laicisti tra febbraio e agosto 2015, l’aggressione il 18 novembre al missionario del Pime padre Piero Parolari, la seconda contro un italiano dopo quella che è costata la vita il 29 settembre, nella capitale Dhaka, al cooperante Cesare Tavella. Il missionario lecchese era stato anche il secondo sacerdote colpito dalla nuova ondata di aggressioni dopo l’accoltellamento del bengalese padre Luke Sarkar, avvenuto il 5 ottobre nella sua parrocchia di Pabna. L’attentato a Tavella, come quello pure mortale del 3 ottobre al consulente agrario giapponese Kunio Hoshi nel distretto settentrionale di Rangpur hanno segnalato con chiarezza una matrice nuova, diversa da quella tradizionale. Il coinvolgimento dell’Isis, ufficialmente negato finora, sembra tuttavia più che probabile.
Il Bangladesh, nato dalla separazione dal Pakistan nel 1971 e come questo parte della separazione traumatica del 15 agosto 1947 tra un’India a maggioranza indù e una nazione bicefala a maggioranza musulmana, si è dato l’islam come religione ufficiale con un emendamento costituzionale nel 1988. Motivazioni diverse, anche di opportunità politica, hanno portato a questa scelta, da subito avversata dalle minoranza religiose (il 10 per cento dei 160 milioni di abitanti) come discriminatoria e ora impugnata davanti al massimo organo giudiziario del paese.
Lo stesso che negli ultimi anni ha dovuto lavorare alacremente sulle richieste di ultima istanza per una serie di condanne alla pena capitale per leader politici di ideologia islamista radicale condannati non tanto per attività criminose attuali ma in buona parte per i delitti compiuti, secondo l’accusa, durante la sanguinosa guerra di liberazione come collaborazionisti del governo pachistano.
Una situazione, quella attuale del Bangladesh, complessa, che il governo guidato da sette anni dalla signora Sheikh Hasina Wazed e dalla sua Lega Awami (già al potere tra il 1996 e il 2001) gestisce con un misto di pugno di ferro verso l’opposizione (e il Jamaat-e-Islam che ne fa parte), di concessioni alle pressioni di diplomazie preoccupate per la crescita di reclutamento terroristico e di attentati nel paese e di necessaria tutela per i gruppi che si oppongono al controllo degli islamisti.