Minaccia fondamentalista, precarietà lavorativa, esodo giovanile… Il Bangladesh si trova oggi ad affrontare alcune sfide cruciali
Un cancello con un grosso lucchetto impedisce l’accesso all’Holey Artisan Bakery nel quartiere diplomatico di Gulshan a Dacca. Una serrata trattativa con il personale di guardia, accompagnata da qualche telefonata a chissà chi, ci permette comunque di entrare dopo una mezzoretta, a condizione di non fare foto. Troviamo operai al lavoro per trasformare la struttura – ci dicono – in una residenza privata. Non sarà più quindi un ristorante tranquillo e un poco defilato il piccolo edificio sul laghetto nel quale diplomatici e imprenditori stranieri si davano appuntamento per cena, dopo una giornata di lavoro e di stress nel caos e nel traffico della capitale del Bangladesh. Il primo luglio di un anno fa, ventidue vittime civili – tra cui nove italiani – ed alcuni poliziotti intervenuti sul posto furono trucidati da un gruppo di studenti islamisti, in un attentato maturato negli ambienti universitari del Paese.
La tragedia sconvolse il Bangladesh e la comunità internazionale, ma non giunse del tutto inattesa dopo mesi di attentati e uccisioni di giornalisti e blogger locali, cooperanti, tra cui l’italiano Cesare Tavella, e personale religioso straniero e locale, tra cui – di nuovo – l’italiano Piero Parolari, missionario del Pime a Dinajpur nel Nord del Bangladesh, ferito gravemente.
Tutti ammettono che in Bangladesh è in corso un acuirsi delle tendenze fondamentaliste negli ultimi anni. La popolazione rimane nel suo complesso incline alla collaborazione e all’armonia, ma cresce l’islam politico e culturale. E non si tratta solo di piccoli gruppi. Il partito del Jamaat-e-Islami rimane fuori legge e impossibilitato a partecipare alle elezioni del 2019, ma cresce l’influsso di una galassia di gruppi e movimenti che hanno indotto recentemente il governo moderato di Sheikh Hasina, leader dell’Awami League, a concedere l’equiparazione delle scuole coraniche (komi madrasa) al curriculum statale fino alla laurea. «È una decisione che può garantire al momento la pace sociale – dice l’ex direttore di Caritas Bangladesh Dominic D’Rozario, – ma è negativa sul lungo periodo. Il governo spera di influenzare questi gruppi tenendoseli amici, ma finiranno per unirsi al partito islamista e rafforzare le tendenze intolleranti nella società».
Lo stesso interlocutore, tuttavia, è tutto lodi nei confronti del governo e della polizia che starebbero affrontando il problema del terrorismo con successo. A meno di un anno dall’attentato all’Holey Artisan Bakery, ad esempio, la Pasqua cristiana è trascorsa senza incidenti. Ho potuto constatare di persona la presenza discreta e cordiale della polizia all’ingresso delle chiese. Ma a Dinajpur ormai i missionari del Pime snobbano la scorta, imposta loro dopo l’attentato a padre Parolari il 18 novembre 2015. Si temono comunque nuove tensioni fra un anno circa, in vista delle elezioni politiche all’inizio del 2019.
«Sono circa sei o sette anni – dice il giovane vescovo di Dinajpur, mons. Sebastian Tudu – che notiamo questo irrigidimento da parte della popolazione musulmana anche a livello di villaggio». E cita un recente incidente nella zona di Mariampur, dove la popolazione tribale è stata attaccata con il sostegno della polizia, provocando vittime e l’incendio di abitazioni. Il vescovo conferma l’impressione maturata dall’osservazione diretta e da altri colloqui. I tribali santal, orao munda del Nord del Bangladesh non potrebbero sopravvivere senza la presenza della Chiesa, il suo peso sociale e “politico”, le scuole, gli ostelli, i programmi di micro-credito e di difesa legale delle loro terre… La cultura stessa di questi gruppi non aiuta: remissivi, non inclini al commercio, propensi a fare debiti e a impegnare terre per costose cerimonie nuziali senza poterle poi più riscattare, sarebbero già stati sopraffatti dalla maggioranza islamica o fuggiti in India, se non avessero avuto, appunto, un sostegno organizzato come quello delle Chiese, soprattutto di quella cattolica, che ha messo le sue radici qui con l’arrivo dei missionari del Pime subito dopo la metà dell’Ottocento.
Ora i giovani tribali hanno trovato una nuova via di sopravvivenza e di fuga. Li incontriamo il giorno di Pasqua nella parrocchia di Gesù Lavoratore a Dacca, quartiere periferico di Zirani. Padre Gian Paolo Gualzetti celebra la Messa in una pausa del loro lavoro nelle fabbriche tessili, della ceramica, dei cosmetici e dei mobili, cresciute a macchia d’olio negli ultimi vent’anni, grazie al basso costo della manodopera favorevole agli imprenditori. Chiedo a fratel Massimo Cattaneo, direttore della scuola tecnica del Pime a Dinajpur, da dove provengano molti di quei giovani, quanto guadagnino al mese. Settanta euro sono una buona base di partenza per una ragazza nel tessile. Meccanici ed elettricisti possono arrivare a duecento e anche qualcosa di più. È la dura legge del mercato, della competizione internazionale e della logica del profitto. Nonostante questi stipendi, si nota un rallentamento degli investimenti in Bangladesh in favore di altri Paesi asiatici come India, Pakistan e Cambogia, dove la manodopera costa ancora meno.
La tragedia del Rana Plaza, il 24 aprile 2013, con più di mille morti a seguito del crollo di un palazzo adibito a produzione tessile, ha costretto a migliorare la sicurezza generale, ma ha indotto gli imprenditori a ridurre le assunzioni e chiedere ancora più ore giornaliere ai giovani operai per incrementare la produzione. Le previsioni per il futuro non sono rosee. Forse ancora dieci o quindici anni di questo sviluppo industriale d’altri tempi in Europa, dicono alcuni. Poi rimarranno enormi aree dismesse, l’inquinamento e i veleni.
L’arcivescovo di Dacca, Patrick D’Rozario, creato cardinale a sorpresa da Papa Francesco il 19 novembre 2016, riflette su una possibile visita del Pontefice quest’anno o il prossimo, ammesso che il vicino governo indiano di Narendra Modi vinca le sue perplessità e il Papa possa andare nei due Paesi.
Il cardinale D’Rozario ritiene che una visita del Pontefice contribuirebbe a rafforzare l’armonia sociale e la forma secolare dello Stato; e potrebbe richiamare il mondo dell’industria alla giustizia nei confronti dei lavoratori: «Gli imprenditori – sostiene – non devono pensare solo a trarre il massimo guadagno dalla necessità dei nostri giovani al lavoro. I profitti non devono andare interamente all’estero. Devono rimanere anche qui per migliorare le condizioni di vita della nostra gente».
È un acuto osservatore della realtà del Paese, il cardinale. L’attentato del primo luglio 2016 lo ha posto in prima linea nella ricerca del dialogo tra le comunità musulmana, indù e cristiana. Si sono sviluppati incontri tra leader religiosi. Una sua lettera sull’impossibilità di mettere insieme il nome di Dio e la violenza omicida è stata letta in tutte le moschee. I cristiani sono meno di 500 mila su 180 milioni di abitanti. «Ma un piatto di riso non ha bisogno di un piatto di sale», dice il porporato, alludendo al fatto che anche una manciata di sale può dare molto sapore. Teme comunque la deriva fondamentalista e autoritaria dello Stato, perché l’attuale partito di governo, moderato, non ha risolto il problema fondamentale della corruzione. «Motivo per cui poi la gente si esaspera – dice – e sceglie un’alternativa, che in un Paese all’87% musulmano come il Bangladesh non può che essere religiosa, fondamentalista e nazionalista». Con grande apprensione e pericolo per le minoranze.
Rimane fiducioso, invece, l’ex direttore nazionale della Caritas, Dominic D’Rozario, uno dei laici cattolici più in vista nel Paese, che vede crescere l’economia e le possibilità di lavoro, con imprenditori che tornano dall’estero per investire e docenti per insegnare. «Venticinque anni fa – dice convinto – non avevamo una fabbrica di cemento. Ora lo esportiamo. Produciamo di tutto, grazie a chi è venuto a investire in Bangladesh. La disoccupazione è ancora alta, ma non come una volta. La costruzione di grandi ponti sul Gange e sul Brahmaputra, il miglioramento della rete stradale, la diffusione dei telefoni cellulari hanno dato un grande impulso all’economia, sia a quella agricola che industriale». Dominic D’Rozario vede modesti progressi anche sul fronte anti corruzione: «In molti settori è diminuita. L’iscrizione a scuola, la richiesta di documenti, la ricerca di lavoro è sempre più on line. Il computer non chiede la mancia o la mazzetta. Venti o trent’anni fa, forse avrei lasciato il Paese con la famiglia. Ora rimarrei qui».
Buoni stipendi comunque sono a disposizione solo per impieghi molto specializzati o per chi abbraccia la carriera militare. Molti giovani sono costretti a muoversi in cerca di lavoro. «Quelli delle campagne cercano di andare a Dacca – commenta Massimo Cattaneo -; quelli di Dacca cercano di andare all’estero».
L’istruzione e l’accompagnamento giovanile rimangono l’impegno principale della Chiesa cattolica in Bangladesh: scuole, ostelli, laboratori tecnici, borse di studio, centri di accoglienza per studenti e lavoratori… Nessuna opportunità è trascurata per trasformare la società e costruire un futuro di collaborazione e di dialogo a partire dalle nuove generazioni. A patto che le spinte concilianti e riformatrici prevalgano su quelle tradizionali e fondamentaliste. La partita rimane incerta.