Non cerco colpe o responsabili delle derive on-line. Mi interrogo però sulla possibilità di annunciare il vangelo in un contesto sociale sempre più segnato da queste diffuse tecnologie che modificano l’assetto cognitivo e affettivo di bambini, giovani e adulti
Sono circa un milione i cambogiani che fanno uso di Bigo live, un «live video streaming social network» che consente a chi ne fa uso di mostrarsi in diretta ad uno o più utenti che a loro volta possono partecipare alla trasmissione. «Broadcast your life and build your audience!» recita il promettente e convincente annuncio che promuove l’app su itunes.apple.com. Se è lo sguardo dell’altro che assicura la mia esistenza, allora Bigo Live è una botta di vita. Perché ci consente un’esposizione totale e un audience potenzialmente illimitata.
L’interazione tra utenti avviene in modo molto semplice e diretto. Prendo quanto segue da un articolo pubblicato recentemente su The Cambodia Daily e scritto da Sek Odom e Ben Paviour. Descrive uno scambio avuto attraverso Bigo Live tra alcuni utenti connessi: «Chi mi compra un Iphone 7?» chiede una giovane donna lanciando una chat, «Chi? Chi?», insiste. Prontamente arriva la risposta da uno dei suoi 227 contatti: «Io spenderò quella somma per te», ma subito un secondo si inserisce e, con il favore dell’anonimato, provoca «Mostrami il tuo seno!», poi un terzo «Vesti i pantaloni in questo momento?». La giovane donna che all’inizio aveva chiesto l’Iphone replica «Quale dei tuoi occhi mi ha visto senza i pantaloni?». Ecco solo alcune battute di un dialogo che già si preannuncia rischioso e senza senso, farcito di riprese e di immagini in diretta che però lasciano intendere, nascondono e rivelano… quanto tutte e quattro le persone coinvolte siano affamate di sguardi, di «like», di «anonymous flattery», necessari per esistere. Poco importano le prediche, ancor meno i valori. Qui si tratta già di un milione di utenti che finalmente ha trovato una piattaforma, non certo l’unica, per esprimere quell’umano bisogno di affetto e attenzione che rendono la nostra vita degna di essere vissuta.
I social network infatti, lo sappiamo, fanno leva su questo bisogno, si diffondono nella misura in cui rispondono a questo bisogno. Il particolare «facial software» dell’app in questione riesce anche ad alleggerire le macchie del viso e ad aumentarne i toni chiari tendenti al bianco, e soddisfa subito quel diffuso desiderio di essere diversi, più belli. Chi non vorrebbe essere più bello, più gradito, più seguito? Non cerco quindi colpe o responsabili di simili derive on-line, così come non cerco demoni da cacciare come le streghe di un tempo. Mi interrogo però sulla possibilità di annunciare il vangelo in un contesto sociale sempre più segnato da queste diffuse tecnologie che modificano l’assetto cognitivo e affettivo di bambini, giovani e adulti. La Cambogia non è più un Paese del terzo mondo. Sarebbe troppo comodo pensarlo in questo modo o arrestarne lo sviluppo demonizzando la modernità. Perderemmo in partenza. Bisognerà piuttosto intercettare questi cambiamenti e parteciparvi.
«When I play Bigo to cut my stress or because I’m bored – racconta Ma Nann, 24 anni – I feel better». C’è quindi un indubbio effetto terapeutico istantaneo che non ha bisogno di sedute e di approfondimenti, ma semplicemente di un pò di spensieratezza e disinibita banalità. Maquillange, effetto terapeutico, risposta alla noia di una vita anonima, sono alcune delle ragioni che catturano la mente e il cuore di milioni di persone e le spingono ad avere una seconda vita on-line e a sperare in un incontro che sia decisivo. Disposti a spendere pur di avere un’altra chance e di essere visti, gli utenti possono esprimere i loro sentimenti di gradimento acquistando «digital candy and flowers» e spedirli agli amici on-line. O postare sulla piattaforma annunci di ogni tipo, ma sempre segnati da «un annacquamento emotivo, un rifiuto volontario della complessità dei rapporti umani» e che propongono «la finzione come nuova estetica» (1).
Il pericolo che sento, come vera e pervasiva minaccia all’evangelizzazione, è il fatto che in simili «circostanze gli uomini vengano resi stupidi, ovvero si lascino rendere tali» (2). Non ho quindi paura dei social network, ma della stupidità che questi strumenti tecnologici così pervasivi, semplici e seducenti, diffondono. «Se il tempo trascorso sul Web rimpiazza completamente quello che passiamo a leggere libri, se ci dedichiamo molto di più a scambiarci bocconcini di messaggi invece di comporre frasi e paragrafi, e a saltare da un link all’altro anziché fermarci per una pausa di calma riflessione e contemplazione, i circuiti [neuronali] che presiedono a quelle vecchie funzioni e occupazioni intellettuali si indeboliscono e cominciano a cadere a pezzi» (3). L’on-line, di cui non possiamo fare a meno, se usato nel modo descritto dall’espisodio di partenza, sequestra la nostra attenzione, impoverisce i rapporti e quelle facoltà intellettuali che ci distinguono dagli animali. Più volti meno video, più realtà e meno chiacchiere, sono solito dire ai ragazzi, ma non nascondo un grande senso di impotenza e timore. «La stupidità – continua Bonhoeffer – è un nemico più pericoloso della malvagità», perché non si ha a che fare con lo stupido ma «con slogan, motti ecc. da cui egli è dominato». Bisognerà allora opporvi un argine consistente, pari solo alla vita dello Spirito in noi, da cui viene quella qualità (di Dio) che «è il nemico più potente di qualsiasi massificazione».
1. S. TURKLE, Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri, Torino 2012, 9.
2. D. BONHOEFFER, Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere, Milano 1988, 65.
3. N. CARR, Internet ci rende più stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro cervello, Milano 2011, 148.