L’annuncio del Vangelo è fatto di piccole cose. In Cambogia anche il sorriso sdentato di una donna anziana è fonte di gioia
«… grande è l’anima e piccola è la vita
e non tutti i gesti possono uscire dal nostro corpo…».[1]
Ieri ho celebrato l’Eucarestia in una delle mie piccole comunità. Quella dove sorgerà la terza scuola. I primi battesimi risalgono a circa 20 anni fa. Tra questi anche una donna che, nel tempo, è diventata nonna. Il suo nome è nonna Haat. Con l’andare degli anni però, se da una parte ha conservato la fede, dall’altra … ha perso tutti i denti! Arcata superiore, zero. Arcata inferiore, forse rimane qualcosa all’estremità per attaccarci una protesi.
E infatti, dopo la Messa, chiacchierando, mi ha chiesto un aiuto per riavere ciò che in realtà, pur sdentata, non ha mai perso, il sorriso! Sulle prime cercavo di portare il discorso altrove perché fra me pensavo, «chissà quanto ci vorrà per sistemare la sua dentatura» … Ascoltandola, trattenevo a stento le espressioni facciali che, sentivo, andavano da sole, verso un secco «no».
Nonostante questa mia titubanza, nonna Haat mi riportava amabilmente alla sua dentiera perché – mi diceva – «non riesco a mangiare bene». Non ha infatti alcuna velleità estetica, ma solo il desiderio di un po’ di normalità in un contesto dove a tavola è sempre Quaresima, anche dopo Pasqua! Le ho chiesto quanto le sarebbe servito per le due arcate. Risposta, «cento dollari». Incredulo, gli ho rivolto di nuovo la stessa domanda e mi ha risposto con la stessa cifra! Al ché mi sono informato sul dentista e mi ha raccontato di una sua vicina di casa, rimasta contenta dopo essersi sottoposta a un “intervento odontoiatrico” simile. L’amica sarebbe ancora contenta se, alcuni giorni dopo, non avesse lasciato la dentiera incustodita, facile preda del cane di casa che se l’è presa e ora non riesce più a trovarla. Una risata finale ha concluso la nostra chiacchierata e, a giorni, nonna Haat dovrebbe sottoporsi al rinnovo delle arcate e del sorriso!
La missione è fatta anche di queste briciole. La speranza di un sorriso sereno e pulito, finalmente ri-addentato. Il sogno di un’altra scuola. Oppure di un tabernacolo nuovo che, sempre su richiesta di nonna Haat, verrebbe silenziosamente a colmare un vuoto nella nostra cappella. Sarebbe infatti poca cosa la missione senza la presenza reale di Cristo. Anche la nostra piccola scuola materna, così amabile, sarebbe una menzogna se non ci appellassimo, consapevoli o meno, alla presenza reale di Dio. E se non chiedessimo a Lui ogni giorno di benedire i nostri piccoli allievi e darci la grazia della Verità. Che è solo amore vicendevole e dedizione reciproca.
Non avrei scritto di nonna Haat se non fosse diventata parte del mio paesaggio interiore. Scrivo per dipingere qualcosa dell’anima. Con le sue preoccupazioni e incombenze, persone che entrano e che escono, e una fede, la mia e la nostra, da custodire. «Bisogna che un luogo diventi un paesaggio interiore in modo che l’immaginazione prenda ad abitare quel luogo e a farne il proprio teatro…»,[2] dice Calvino dell’arte di narrare. Come se, scrivendo, continuassimo l’opera della creazione e della risurrezione di tutto ciò che attraversa il nostro sguardo. E che prende a vivere dentro di noi, in incipiente crescita e luminosità. Come questo villaggio della campagna cambogiana, con nonna Haat, i bambini dell’asilo e i progetti futuri.
Eppure v’è sempre uno scarto tra ciò che vorremmo fare e ciò che davvero facciamo. Ci portiamo dentro un desiderio di bene mille volte più intenso di ciò che poi realmente riusciamo a fare o a dare. Spingiamo, sì, il nostro “fare” affinché sia risolutivo, ma invano. Le nostre terapie, di qualsiasi tipo, mancano spesso il colpo o arrivano in ritardo. Anche se dentro di noi, sogniamo miracoli e guarigioni per tutti. Si prova e si riprova, tanto più con l’educazione dei ragazzi e di se stessi. Il cantiere è sempre aperto, il nostro paesaggio interiore sempre vivo. Come il cuore di quella mamma che ha amato i suoi figli, «ma più di dentro, nel mio cuore, che di fuori». Con un sentire di gran lunga più grande del suo fare. Con un desiderio di bene più grande di tutti i suoi gesti, pur profondamente materni.
Vorrei esaltare questo desiderio invisibile dell’anima. Al di là dei risultati. La buona fede di tanti tentativi. La generosità sincera in tante notti insonni spese a sperare e pregare. «Perché grande è l’anima e piccola è la vita / e non tutti i gesti possono uscire dal nostro corpo…». Se tutto il bene che sentiamo dentro, infatti, non sempre arriva a destinazione, nondimeno è vita di Dio che non cessa di sgorgare «dall’antichissimo di noi laddove hanno radici quegli alberi di meraviglia i cui frutti sono i sogni che culliamo e amiamo».
Credo. «In quel giorno, in quell’ora / leverò in alto le braccia / e le mie radici usciranno a cercare altra terra».[3] In Cielo.
[1] Poesia di Fernando Pessoa, Ode alla notte, disponibile in, https://www.youtube.com/watch?v=OvqMwCVzCyA
[2] Italo Calvino, sulla scrittura in, https://www.youtube.com/watch?v=6jdiCztTLQw
[3] P. Neruda, Se tu mi dimentichi.
Foto: Flickr / Caroline Bennett