L’emissione di un mandato di arresto per il leader dell’opposizione parlamentare Sam Rainsy mentre si trovava all’estero. La repressione dei movimenti di base contrari all’esproprio dei terreni dei villaggi. L’inviato speciale Onu per i Diritti umani in Cambogia: si sta arrivanto a un punto pericoloso
Il 26 gennaio, prima di raggiungere Pechino e dopo avere visitato il Laos che cerca di affrancarsi dalla crescente ingerenza cinese, il Segretario di Stato Usa John Kerry ha fatto una tappa nella capitale cambogiana Phnom Penh. Un breve soggiorno, nemmeno ventiquattr’ore in cui Kerry ha potuto incontrare non solo il premier Hun Sen e il ministro degli Esteri Hor Namhong, ma anche Kem Sokha, presidente pro tempore del maggiore partito d’opposizione, quello della Salvezza nazionale della Cambogia, e esponenti della società civile.
Sicuramente rapporti bilaterali, incremento della presenza commerciale Usa, quesioni regionali e cooperazione anti-terrorismo sono state rilevanti nel programma di incontri ufficiali. Ma lo è stato almeno altrettanto l’impegno definito “essenziale” da Kerry per una maggiore democrazia.
Nella conferenza stampa prima della partenza, il Segretario di Stato ha detto di avere “sottolineato il ruolo essenziale che un sistema democratico vivace gioca nello sviluppo di un Paese e sulla legittimità del suo sistema politico”. “I governi democratici – ha proseguito Kerry – hanno la responsabilità di assicurare che tutti i rappresentanti eletti siano liberi di attuare i loro compiti senza paura di aggressione e arresto. Si tratta di una responsabilità fondamentale per un governo democratico. Di conseguenza, è molto importante consentire un dibattito acceso ma pacifico in preparazione delle elezioni del prossimo anno e di quelle del 2018”.
Del resto a rilevare che la frammentazione e la polarizzazione degli schieramenti – ma anche il governo autoritario pressoché trentennale di Hun Sen – rischino di portare la Cambogia a “un punto pericoloso” è anche Rhona Smith, inviato speciale Onu per i Diritti umani in Cambogia. Dopo un suo viaggio nel Paese a dicembre, la Smith ha ricordato come lo scontro politico crescente sia stato accompagnato da un aumento degli abusi dei diritti umani che include “atti di violenza, intimidazione di individui, uso di linguaggio offensivo nella dialettica politica”.
Ultima crisi, quella innescata a novembre con l’emissione di un mandato di arresto per il leader dell’opposizione parlamentare Sam Rainsy mentre si trovava all’estero. Un mandato legato a una sentenza condonata due anni fa dal premier ma poi riconfermata a seguito delle dichiarazioni non favorevoli al governo fatte durante un viaggio in Corea del Sud e Giappone. Sam Rainsy, presidente del Partito per la salvezza nazionale, è stato privato dell’immunità parlamentare e rischia almeno due anni di carcere se arrestato al rientro in patria.
Per l’avversario storico di Hun Sen la situazione attuale “completa l’eliminazione del solo partito d’opposizione rappresentato in parlamento e di fatto il ritorno del Paese al sistema monopartitico anteriore agli Accordi di Parigi – firmati da 18 Paesi e sotto tutela Onu – che consentirono nel 1990 l’avvio di un percorso democratico”.
Anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon ha recentemente segnalato di seguire “con preoccupazione” le tensioni tra il partito di governo in Cambogia e i rivali parlamentari e definito “sviluppi preoccupanti” questa vicenda e le altre che segnalano una volontà persecutoria verso l’opposizione.
L’informazione online, in particolare i social media, sono al centro di iniziative repressive, il controllo delle organizzazioni caritative e assistenziali locali e internazionali attive nel Paese con una legge di recente approvazione che per gli operatori consente l’ingerenza governativa attraverso il controllo delle fonti di finanziamento; la repressione dei movimenti di base contrari all’esproprio dei terreni dei villaggi e di aree protette che hanno sovente come responsabili personaggi o gruppi connessi al potere politico. Infine, il tentativo di limitare i lavori del Tribunale speciale misto per il genocidio cambogiano a pochi gerarchi ottuagenari, per evitare che lo stesso premier (ex quadro khmer rosso) venga coinvolto nel giudizio dei responsabili di un regime a cui si accredita la morte di almeno 1,5 milioni di cambogiani tra il 1975 e il 1979.