Martire per affermare fino in fondo il valore del dialogo tra cristiani e musulmani. È il profilo di padre Salvatore Carzedda, ucciso 25 anni fa a Mindanao, che il Pime di Milano ricorda mercoledì 22 con una serata in occasione della Giornata dei missionari martiri. Riscoprendo anche un suo significativo scritto su Gesù e il Corano
Un martire del dialogo islamo-cristiano, ucciso in una terra di frontiera come l’isola filippina di Mindanao, dove oggi l’Isis sta cercando di mettere nuove radici. È il profilo di padre Salvatore Carzedda, missionario del Pime di origine sarda, di cui quest’anno ricorrono i venticinque anni dalla morte. Ed è proprio a partire dalla grande attualità del suo messaggio che il Pime di Milano ha scelto di porre la sua figura al centro di una serata speciale in programma mercoledì 22 marzo presso la sede di via Mosé Bianchi 94.
L’evento vuole essere un modo per vivere a Milano la Giornata dei martiri missionari che da alcuni anni in Italia, per iniziativa di Missio Giovani, viene celebrata in prossimità del 24 marzo, l’anniversario della morte di Oscar Arnulfo Romero, l’arcivescovo di San Salvador ucciso dagli squadroni della morte mentre celebrava l’Eucaristia e beatificato due anni fa da papa Francesco. In quest’occasione il Pime vuole ricordare tutti i 19 missionari dell’istituto che hanno dato la vita per l’annuncio del Vangelo dal 1850 fino a oggi. Ma un particolare risalto quest’anno verrà dato alla figura di padre Carzedda.
Nato a Bitti, in provincia di Nuoro nel 1943, missionario nelle Filippine dal 1977, padre Carzedda fu ucciso il 20 maggio 1992 mentre in auto stava tornando da un seminario sul dialogo tenuto davanti a un gruppo misto di musulmani e cristiani per iniziativa del movimento locale Silsilah («la catena», nome simbolico che parla di un’unità più forte di ogni barriera). Allora non si parlava ancora di al Qaeda o di Califfato; lo stesso movimento di Abu Sayyaf nelle Filippine si sarebbe fatto tristemente conoscere solo negli anni successivi. Eppure padre Carzedda, insieme al suo confratello padre Sebastiano D’Ambra, avevano capito che ina realtà attraversata da un conflitto doloroso tra cristiani e musulmani, come è appunto l’isola di Mindanao, promuovere il dialogo era l’uncia strada per costruire un futuro di pace.
Ed è una sfida che la morte di padre Carzedda non ha fermato, come proprio padre D’Ambra racconta sul numero di questo mese di Mondo e Missione, spiegando come è andato avanti in questi anni il cammino di Silsilah e quali sono le sfide che si trova ad affrontare oggi. Quanto all’eredità di padre Carzedda molto significativo è anche un libro che il missionario ci ha lasciato: uno studio che aveva condotto sui testi musulmani dedicati alla figura di Gesù. Una riflessione meticolosa, senza alcuna pretesa di annullare le differenze. Un invito a cristiani e musulmani a prendere sul serio il «Gesù dell’altro», per lasciarsi interrogare anche sul «proprio Gesù». Leggi qui l’articolo di Giorgio Bernardelli su questo libro.
La serata del 22 marzo al Pime prevede due momenti: alle 18 verrà celebrata una Messa per tutti i martiri del Pime nella chiesa di San Francesco Saverio (ingresso da via Monte Rosa). Nel corso della celebrazione l’artista Giovanna Dejua, cugina di padre Carzedda, donerà la «Croce del martirio», un’opera che rimarrà a Milano come segno in memoria del missionario ucciso. Alle 21 è poi in programma l’incontro «Fino alle estreme conseguenze» con testimonianze in ricordo di padre Carzedda e degli altri confratelli uccisi nelle Filippine proposte da Giorgio Licini, Paolo Nicelli e Giulio Mariani, missionari del Pime che hanno vissuto nel Paese. Direttamente da Zamboanga vi sarà inoltre una video-testimonianza di padre Salvatore D’Ambra, anche lui amico e confratello di padre Carzedda, che in quel contesto ne continua ancora oggi l’opera attraverso il movimento Silsilah, tuttora punto di riferimento per l’incontro tra cristiani e musulmani in una terra avvelenata da un lungo conflitto.
Per chi desidera partecipare a entrambi i momenti è possibile fermarsi al Pime per una cena quaresimale sobria, nello stile della condivisione.