Corea del Sud, preti per il mondo

Corea del Sud, preti per il mondo

Con il boom di vocazioni sono ormai quasi cinquemila i sacerdoti nel Paese. Il cardinale di Seul, Andrew Yeom Soo-jung: «Una benedizione, non solo per la Corea»

 

«In Europa le Chiese soffrono per la mancanza di preti. Io spero che sempre più sacerdoti vadano all’estero e si impegnino nel lavoro missionario». Una speranza che l’arcivescovo di Seul e cardinale Andrew Yeom Soo-jung è in grado di alimentare potendo contare su un clero folto, relativamente giovane e ancora alimentato numerose vocazioni.

Ha così potuto rispondere positivamente all’invito del Nunzio apostolico in Corea, arcivescovo Osvaldo Padilla, presente qualche mese fa all’ordinazione di 27 nuovi sacerdoti che hanno portato il totale in diocesi a 892 e a sfiorare i 5.000 a livello nazionale. «In un tempo in cui le Chiese nel mondo risentono della mancanza di clero, il numero dei preti in questa arcidiocesi è una benedizione, non solo per la Corea, ma per il mondo», ha sottolineato mons. Padilla.

Un invito che ricalca, ha ricordato il card. Yeom, l’invito di papa Francesco durante la sua visita in Corea del Sud nell’agosto 2014, associato all’esortazione rivolta all’arcidiocesi di «giocare un ruolo di maggior rilievo nella Chiesa asiatica e nel mondo diventando una Chiesa più aperta al dono».

Con una comunità cattolica che include il 15 per cento dei 10 milioni di abitanti della capitale Seul, l’arcidiocesi è anche il simbolo di una realtà ecclesiale nazionale che vede ogni anno decine di migliaia di battesimi. Una crescita in atto da decenni e che sembra inarrestabile, nonostante qualche rallentamento. All’inizio degli anni Settanta, i cattolici erano meno di un milione, oggi sono il 10 per cento dei quasi 51 milioni di sudcoreani.

L’arcidiocesi ha inoltre anche giurisdizione sui fedeli a Nord del 38° parallelo. Una cifra incerta, poche migliaia probabilmente, che praticano clandestinamente e sono perseguitati dal regime; ma a loro in questi decenni sono arrivati fraternità e aiuti, organizzati e veicolati proprio dalla Chiesa di Seul in cooperazione con la Caritas coreana.

Una crescita che porta anche a nuove necessità amministrative e di formazione, soprattutto nella prospettiva di un maggiore impegno sociale e di una più marcata missionarietà. Uno stimolo importante dovrebbe venire dal Comitato per il clero, una nuova attraverso la quale l’arcidiocesi punta a coordinare maggiormente il personale religioso nelle varie attività ma anche a fornire ai nuovi preti una serie di esperienze e di proposte.

Erede di una realtà cattolica per lungo tempo perseguitata e che per questo – anche dopo l’apertura del paese alla democrazia e al benessere – ha faticato ad abbandonare una mentalità da ghetto per proporsi come elemento a pieno titolo della società anche attraverso le sue scuole, università e ospedali, la Chiesa dei Seul è profondamente legata al concetto di modernità nell’ambito coreano. Se questo è vero quasi ovunque nel Paese, nella grande metropoli che vede molte aree di degrado e di sfruttamento, cattolicità e progresso restano fortemente connessi. Un’idea che alimenta la fede ma che sfida gerarchia e clero a restare al passo con i tempi senza rinunciare agli ideali della Chiesa universale e alla propria tradizione locale. Che sfida anche i fedeli, il cuoi forte senso comunitario viene messo alla prova dalla tentacolarità urbana, dalle sue contraddizioni, dalla secolarizzazione e dal crescente cosmopolitismo.