In Occidente si fatica a comprendere quanto sta accadendo a New Delhi: la nuova ondata della pandemia sta assumendo proporzioni che sono quelle di un Paese da quasi 1,4 miliardi di abitanti. E da Mumbai si è estesa a tutto il subcontinente. Con ripercussioni anche internazionali per via del blocco delle esportazioni di vaccini per i Paesi del Sud del mondo, che dall’India avrebbero dovuto rifornirsi secondo il programma Covax
La seconda ondata della pandemia di Covid-19 sta spazzando l’India. Temuta ma non inattesa dopo un anno di restrizioni severe ma anche di una diffusione a zone che ha consentito a diverse regioni un’esistenza quasi normale. Mentre molte altre hanno sofferto vittime e maggiore povertà, aggravando soprattutto la condizioni dei numerosi indiani già al limite o sotto la soglia dell’indigenza. Se la prima fase, aveva visto un numero relativamente basso di contagi, ricoveri e decessi, in questa seconda bollettini giorno dopo giorno stanno assumendo dimensioni proporzionali a un Paese la cui popolazione si avvicina a 1,4 miliardi di abitanti.
ieri i decessi giornalieri hanno superato quota 1500 portando il dato complessivo oltre quota 175mila (erano stati 149mila nel 2020). Sono circa un terzo delle morti degli Usa e la metà di quelle del Brasile; ma a impressionare è la progressione senza precedenti al mondo fatta registrare nelle ultime due settimane, che ha già portato l’India a superare di slancio il Brasile quanto a numero di contagi, salendo a quota 14,5 milioni di casi (erano ancora 10,2 milioni all’inizio dell’anno).
Particolarmente colpita la capitale New Delhi, con 24mila nuovi contagi nella giornata di sabato 17 aprile, seguita a ruota dall’Uttar Pradesh, il più popoloso Stato dell’India dove i contagi sono stati 19mila. Un risultato che è anche frutto della difficoltà di gestione sanitaria dell’emergenza. Ospedali e cliniche sono oltre il limite e l’appello lanciato dal governo locale a ogni istituzione in grado di accogliere pazienti e di mettere a disposizione personale sanitario è significativo.
Si registra anche un cambiamento significativo nella tendenze del contagio. Per mesi Mumbai, capitale finanziaria e commerciale del Paese – ma anche calamita per i poveri che vi affluiscono dall’entroterra rurale dell’India centrale – aveva visto il record di contagi, pazienti e vittime in rapporto alla popolazione, con milioni di poveri urbani e una folta popolazione immigrata tra le prime vittime. Nei giorni scorsi, invece, è stata Ahmedabad – città di 3,5 milioni di abitanti nel Gujarat, stato di nascita del primo ministro, il nazionalista Narendra Modi – a registrare il record dei decessi in percentuale sugli abitanti. Da sola, con 5.000 morti, ha raggiunto la metà delle vittime dell’intero Gujarat. Questo segnalerebbe che la pandemia è ormai diffusa ben oltre le aree e i gruppi di popolazione considerati più a rischio.
La situazione è di emergenza su due fronti. Su quello interno per la difficoltà di gestione e le potenzialità negative che una diffusione incontrollata del contagio può produrre sull’economia con le forti ripercussioni sociali e di ordine pubblico. Ma c’è anche il fronte esterno perché l’India – in condizioni normali il maggior produttore mondiale di vaccini – ha giù chiuso le porte all’esportazione di milioni di dosi, a partire da quelle AstraZeneca prodotte nei suoi laboratori. Alla ricerca di almeno 70 milioni di dosi/mese, ha destinato l’intera produzione nazionale a uso interno, allontanando così la possibilità di una immunizzazione almeno parziale della popolazione di 92 paesi in via di sviluppo attraverso la sua partecipazione al programma internazionale Covax a cui avrebbe garantito l’80 per cento delle dosi necessarie. Il blocco è stato esteso anche a farmaci utilizzati per curare manifestazioni acute del contagio, come il Ramdesivir., Acyclovir e Paracetamolo
Forti le polemiche alimentate dalla situazione. Quelle politiche, rivolte alle scelte strategiche del governo centrale e di quelli locali, spesso non coordinate o poco efficaci; quelle di attivisti ed esperti critici di scelte che nel recente passato hanno privilegiato l’industria farmaceutica privata rispetto a quella pubblica e quindi una maggiore dipendenza da produzioni commerciali rispetto a quelle di utilità pubblica, essenziali in un Paese dalle caratteristiche dell’India e per lungo tempo centrali nelle politiche statali.