Con misure di prevenzione molto efficaci il più giovane Paese dell’Asia è riuscito ad avere solo 26 casi di contagio da Coronavirus, nessuno dei quali frutto di trasmissione locale. E questo nonostante gli oltre 155.000 casi registrati nella confinante Indonesia. Ma Timor Est è anche il Paese che nell’area ha investito di più in misure sociali per rendere sostenibile il lockdown
Appena 26 casi registrati in 6 mesi di cui uno solo ancora attivo e nessuna vittima. E soprattutto nessun caso di contagio a livello locale.
Nel mappamondo della pandemia sappiamo bene che anche i Paesi più poveri si trovano oggi a fare i conti con il Covid-19. E conosciamo anche le difficoltà che comporta far fronte all’emergenza senza servizi sanitari ben strutturati e abbondanza di dispositivi di protezione. Per questo vale la pena di segnalare un’eccezione interessante che viene da un puiccolo Paese dell’Asia dalla storia molto travagliata. Scorrendo le statistiche sulla diffusione del Coronavirus si scopre infatti che tra i Paesi meno duramente colpiti dall’emergenza c’è anche Timor Est, il piccolo Paese asiatico a maggioranza cattolica divenuto indipendente dall’Indonesia nel 2002.
Timor Est non è l’unico Paese del sud-est asiatico in cui i dati sulla diffusione della pandemia sono così bassi. E certamente una popolazione di appena 1,3 milioni di abitanti, con una densità relativamente bassa aiuta a fronteggiare una situazione di questo tipo. Però va anche tenuto presente che una parte della stessa isola di Timor è tuttora territorio indonesiano; e lì, come nel resto dell’Indonesia, il Coronavirus è arrivato e anche in maniera consistente: a oggi sono oltre 155 mila i casi registrati e più di 14 mila i morti. Come ha fatto, allora, Timor Est a evitare l’ingresso e la trasmissione a livello locale della malattia?
Come racconta l’agenzia UcaNews la chiave di questo risultato sono state una serie di azioni molto efficaci messe in atto dal governo di Timor Est. Alla segnalazione del primo caso, giunto dall’estero il 21 marzo, è scattata la chiusura dei confini e una quarantena molto rigida. Ma le autorità hanno messo in atto anche una serie di misure economiche per renderla sostenibile come sussidi ai lavoratori stagionali che erano in Australia e sono stati costretti a non rientrare, mentre altre forme di sostegno sono state previste per le famiglie locali con un reddito inferiore ai 500 dollari. E anche quando a giugno lo stato di emergenza è terminato, Timor Est ha comunque mantenuto l’obbligo di una quarantena di 14 giorni per chiunque entra nel Paese; un isolamento che avviene in appositi alberghi, con personale medico che monitora l’insorgenza di eventuali sintomi sospetti.
Questa strategia è stata definita dalla Crawford School of Public Policy dell’Australian National University la più efficace tra le risposte al Coronavirus di tutta l’area del Pacifico. Timor Est è risultato essere il Paese che ha investito di più – circa il 3,5% del suo Prodotto interno lordo – in misure sociali per l’emergenza Covid-19.