Tra i nuovi santi anche un alto funzionario reale del Tamil Nadu che nel Settecento si convertì al cristianesimo predicando l’uguaglianza senza distinzioni
Accanto a Charles de Foucauld ci sono anche altri volti legati alla missione tra i nuovi santi che Papa Francesco proclamerà domenica 15 maggio a Roma nella prima cerimonia di canonizzazione che si tiene dopo il blocco forzato imposto dalla pandemia. E tra loro c’è soprattutto una figura molto importante per l’Asia: Lazzaro Devasahayam (1712-1752) diventerà infatti il primo laico indiano, sposato e padre di famiglia, a essere proclamato santo. E nonostante si tratti di una figura vissuta tre secoli fa, la sua canonizzazione è portatrice di un messaggio ancora attualissimo su due temi delicatissimi come le conversioni dall’induismo e la discriminazione generata dal sistema delle caste che (nonostante la sua abolizione ufficiale nel 1948) nella società indiana continua tuttora a perpetuare ferite.
Il nuovo santo indiano era nato infatti con il nome di Nilakandan il 23 aprile 1712 nel villaggio di Nattalam, nel Tamil Nadu. Di famiglia di casta elevata e induista, intraprese la carriera militare divenendo ministro dell’allora Regno di Travancore, come funzionario del palazzo reale. Quando però alcuni cattivi raccolti lo portarono a perdere tutti i suoi averi, era disperato perché pensava che avrebbe perduto il rispetto di tutti. Fu il capitano cattolico francese Eustache de Lannoy – che al servizio della Compagnia olandese delle Indie orientali era stato fatto prigioniero dal re di Travancore e aveva poi collaborato con Nilakandan all’ammodernamento dell’esercito – a consolarlo narrandogli il racconto biblico di Giobbe. Fortemente colpito da quella storia Nilakandan si avvicinò al cristianesimo: nonostante fosse ben consapevole dell’ostilità del re per le conversioni, chiese di ricevere il battesimo dal gesuita padre Giovanni Battista Buttari. Così il 14 maggio 1745 divenne cristiano, scegliendo per sé il nome di Devasahayam, la traduzione in lingua tamil del biblico Lazzaro (che in ebraico significa “aiuto di Dio”).
Con il suo esempio convertì molte persone, a partire da sua moglie: proveniente da un gruppo privilegiato, insisteva sull’uguaglianza tra tutte le persone, indipendentemente dalla casta. Questo suscitò feroci opposizioni tra i brahmini a corte: lo invitarono ripetutamente a compiere riti religiosi indù, lo accusarono falsamente di frode sostenendo che avesse regalato illegalmente a padre Buttari del legname per costruire una chiesa. Alla fine nel 1749 convinsero il re ad arrestarlo ed iniziò il suo lungo martirio. Di fronte al suo rifiuto di abbandonare il cristianesimo lo sottoposero a ripetute torture; veniva condotto nelle diverse città del regno e picchiato pubblicamente per ammonire tutti. Per rendere ancora più insopportabile il dolore cospargevano le sue ferite con il peperoncino. Nonostante tutte queste sofferenze molte persone si recavano a visitarlo in carcere per ottenere la sua benedizione. E fu per questo che il re e gli ufficiali di palazzo decisero di trasferirlo in una prigione segreta presso Aralvaimozhy, ai confini orientali del regno. Qui venne ucciso per fucilazione il 14 gennaio 1752: il suo corpo fu abbandonato nella foresta con l’intenzione di farne preda per gli animali. Ma i cristiani locali vennero a saperlo e lo seppellirono nella chiesa di San Francesco Saverio, che è oggi è la cattedrale della diocesi di Kottar.
Fin da subito la comunità cattolica locale lo ha venerato come un santo, ma solo nel 2006 la Chiesa indiana ha aperto formalmente una causa per il riconoscimento canonico del suo martirio. La beatificazione è avvenuta nella città indiana di Nagercoil il 2 dicembre 2012, nel terzo centenario della sua nascita, alla presenza di centinaia di migliaia di persone. La canonizzazione è stata poi resa possibile dal riconoscimento di un miracolo avvenuto per sua intercessione, la guarigione nel grembo di una donna indiana di un feto di 20 settimane che la medicina aveva ufficialmente dichiarato morto.
«Il fatto che Devasahayam venga proclamato santo – ha dichiarato ad AsiaNews l’arcivescovo Felix Machado, segretario della Conferenza episcopale indiana (Cbci) – rappresenta un momento storico per l’India. Nella sua vita ha amato i poveri, proprio come ci dice Papa Francesco. E a molti di noi che hanno ricevuto la fede dai propri antenati, la testimonianza di Devasahayam ricorda che il Vangelo è un tesoro da scoprire e al quale dedicare tutta la vita». Anche il gesuita A.X.J. Bosco, che è nativo del Tamil Nadu ed è impegnato in prima persona per i diritti dei dalit (i cosiddetti “fuori casta” ndr), sottolinea un aspetto: «Come santo lo chiameremo semplicemente Devasahayam, lasciando cadere il suo secondo nome Pillai che rimandava alla sua casta d’origine. Questo tipo di discriminazione – contraria all’insegnamento di Gesù e alla Costituzione indiana – crea tuttora divisioni anche tra i cristiani, permettendo agli uni di sfruttare gli altri. Ringraziamo Dio di poter avere un santo che unisce tutti. Devasahayam trattava tutti allo stesso modo: per questo è stato perseguitato e ucciso. La sua testimonianza sia d’esempio per tutti noi». MM