Duterte stravince ancora, ma con tanti dubbi sullo spoglio

Duterte stravince ancora, ma con tanti dubbi sullo spoglio

Nelle elezioni di metà mandato nelle Filippine raccoglie un plebiscito l’ex capo della polizia Bato Dela Rosa, l’uomo simbolo della «guerra alla droga». Ma a quasi una settimana dal voto elettronico non ci sono ancora i dati ufficiali

 

Le elezioni filippine del 13 maggio sono state viste anzitutto, e non a torto come un referendum per la presidenza Duterte, arrivata a metà del percorso quadriennale. Sotto questo aspetto è stata una conferma, non solo perché i sondaggi che hanno affiancato il lento affluire dei risultati hanno segnalato un consenso per il presidente ancora all’81 per cento. A spoglio avviato e poi pressoché arenatosi a distanza di giorni nonostante il voto elettronico, il Senato risulta con certezza passato dalla parte del presidente, garantendo che nove seggi senatoriali sui 12 in palio (metà del totale che si rinnova al 50 per cento ogni quattro anni) andranno ai partiti che sostengono il governo di cui Duterte è a capo per la legge filippina.

Tra gli eletti e tra quelli con il maggior numero di preferenze, circa 19 milioni, è Bato Dela Rosa, l’ex capo della polizia che fino a pochi mesi fa ha condotto la “guerra alla droga” dichiarata da Duterte e costata la vita a migliaia di tossicodipendenti, spacciatori, criminali comuni e (sostengono in molti nella società civile filippina) squatter, bambini di strada e critici dell’amministrazione. Tanti gli scomparsi e troppe le esecuzioni extra-giudiziali che Duterte ha consentito dichiarando la piena amnistia per uccisioni dovute a operazioni d’ordine e sicurezza.

I morti sono stati una ventina anche in questa tornata elettorale e le accuse di brogli, corruzione e manovre illecite si sono moltiplicate con il passare dei giorni. Come pure l’accusa di incapacità per la Commissione elettorale (Comelec), il cui silenzio amplifica i dubbi sulla legalità delle operazioni di scrutinio.

D’altra parte, davanti ai tanti dubbi, sono anche settori dell’opposizione, organizzazioni non governative e la stessa Chiesa cattolica a chiedere che venga sospesa la proclamazione dei risultati fino a quando non saranno indagate in modo appropriato e risolte le accuse di compravendita di voti e di irregolarità nel funzionamento delle apparecchiature per lo spoglio.

“Chiediamo indagini indipendenti e imparziali riguardo alle denunce di frodi e di manipolazione del voto elettronico da parte della Commissione”, ha dichiarato padre Edwin Gariguez, segretario esecutivo di Nassa/Caritas, organizzazione per l’azione sociale della Conferenza episcopale filippina. Non si tratta, ha precisato il sacerdote, di una richiesta politica – nonostante in campagna elettorale la posizione della Chiesa cattolica sia stata espressa con chiarezza a favore dell’opposizione – ma di una sua personale opinione basata su dati reali. Incomprensibili, per lui, i ritardi nella comunicazione dei risultati in diverse aree del Paese.

Più severo il giudizio di Kontra Daya, gruppo di monitoraggio del voto che ha indicato nelle ultime elezioni “le peggiori di sempre” a causa degli errori evidenti nella conta automatizzata e il “massiccio acquisto di preferenze”.

Critiche che il portavoce del Comelec ha smentito decisamente, pur senza prospettare una scadenza prevista per la diffusione dei risultati finali. “Se un’accusa di frode dovesse bastare a fermare la proclamazione dei vincitori, allora non ci sarebbero più proclamazioni. Questo non rientra in un corretto gioco elettorale – ha sostenuto James Jimenes -. Non si è verificato nulla di sbagliato, ma ci sono stati problemi minori nel processo di scrutinio che non modificheranno l’integrità del risultato”.

Le linee-guida della Chiesa locale diffuse prima del voto avevano chiesto ai 66 milioni di elettori di applicare due livelli di selezione dei loro rappresentanti. Il primo, che il candidato fosse credente e contrario alla struttura federale dello Stato promossa da Duterte. Il secondo che rispondesse a una serie di requisiti che ne confermino “carattere, integrità, competenza e affidabilità” come garante del servizio pubblico e dello Stato di diritto.