Padre Angelo S. Lazzarotto sull’intervista rilasciata da papa Francesco ad Asia Times: «Un gesto eccezionale di amicizia più che una mossa politica. Motivo di incoraggiamento per i cristiani in Cina»
«C’è tanta ammirazione da parte del Papa per le ricchezze della Cina. E io credo che quest’intervista per le comunità cristiane del Paese sarà un motivo incoraggiamento. Oltre che un’occasione per provare a guardarsi in un orizzonte più completo».
Padre Angelo S. Lazzarotto – missionario del Pime, grande conoscitore della Cina, insignito appena poche settimane fa dall’Università Cattolica del premio Matteo Ricci proprio per la sua vita interamente dedicata a questo grande Paese – commenta così l’intervista rilasciata da papa Francesco ad Asia Times e che – diffusa l’altro giorno dalla Sala Stampa vaticana – sta facendo discutere gli osservatori dei rapporti tra Roma e Pechino.
Padre Lazzarotto, su questa intervista c’è chi parla di svolta e chi la derubrica a realpolitik. Quanto vale davvero?
«Penso che sia un fatto eccezionale, anche se va considerata per quello che è: un gesto d’amicizia attraverso il quale il Papa ha voluto mostrare ancora una volta quanto abbia nel cuore la Cina. Il fatto che lo stesso Osservatore Romano abbia il pubblicato il testo integrale al centro del giornale, le immagini diffuse del colloquio del Pontefice con Francesco Sisci alla presenza di padre Lombardi, la precisazione che si tratta di una propria traduzione del testo inglese (anche se verosimilmente il colloquio è avvenuto in italiano), sono tutti segnali che dicono il rilievo che entrambe le parti attribuiscono a questo gesto. Sarebbe un errore, però, andare troppo oltre quella che è la sua circostanza concreta: l’augurio al popolo cinese e al suo presidente alla vigilia del Capodanno lunare».
C’è chi critica il Papa per non aver affrontato nel colloquio il tema della libertà religiosa e dei diritti umani…
«Fa parte del contesto. Nella premessa è Sisci a dire che ha scelto di non porre domande sull’argomento, ma è evidente che non era solo una sua iniziativa. Ripeto: quest’intervista è nata come un gesto di amicizia. E non è certo un’iniziativa di questo genere l’ambito più logico per sollevare questioni di cui certamente la Cina e la Santa Sede stanno parlando in altre stanze… Del resto oggi l’agenzia cattolica UcaNews cita da Hong Kong il cardinale John Tong, che rigetta questa critica collocando l’intervista nella linea del Concilio Vaticano II: il Papa – dice il cardinale Tong – incoraggia il dialogo in maniera sincera e anche amichevole»
Nella sua reazione ufficiale il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino ha espresso l’auspicio di «incontrarsi a metà strada» con Roma. Come leggere questa frase?
«Non gli darei troppo peso. Mi sembra una delle cose che si dicono in queste occasioni. Certamente c’è la volontà di cercare una soluzione win-win, vantaggiosa per entrambi. Ma questa non è una novità. Ho trovato più interessante l’intervista pubblicata da Avvenire a padre John Baptista Zhang, che è il direttore di Faith Weekly, l’unico settimanale cattolico diffuso in tutta la Cina Popolare. Una testata nata venticinque anni fa che, nonostante la censura, sta svolgendo oggi un ruolo importante. Nell’intervista padre Zhang racconta di come in Cina vi sia oggi un’attenzione quotidiana a quanto papa Francesco dice e fa. E questo è molto significativo».
Nei giorni scorsi il Corriere della Sera ha scritto che sarebbe ormai in via di avanzata definizione un accordo grazie al quale entro l’anno potrebbe essere il Papa e non più il governo a nominare tre vescovi vacanti in Cina. Ritiene verosimile questa notizia?
«Mi pare siamo ancora nel campo delle ipotesi. Sarei molto contento se fosse vero, sarebbe un percorso interessante. Ma a oggi dobbiamo stare alla realtà dei fatti».
Al di là delle interpretazioni del gesto, che cosa l’ha colpita di più nel testo dell’intervista del Papa ad Asia Times?
«Il fatto che inviti la Cina tutta – come popolo ma forse anche come dirigenti – a scoprire la necessità della misericordia. È una parola importante per questa Cina di Xi Jinping, che rischia di guardare solo al mito dell’efficienza. L’idea della misericordia è la novità che il cristianesimo può dare alla Cina. Ed è un’idea che suscita interesse: quando l’anno scorso qui in Italia abbiamo ospitato una compagnia cinese che porta in scena uno spettacolo sull’amicizia tra Matteo Ricci e Xu Guangqi, mi ha colpito il regista abbia voluto sottolineare il gesto di Ricci e Xu che perdonano pubblicamente un cortigiano che aveva falsamente accusato Ricci di corruzione. È stato proprio quel regista cinese a dire che la misericordia oggi per la Cina è un messaggio potente».
Ma nel concreto che cosa significa misericordia oggi in Cina?
«Per i cattolici cinesi certamente imparare a non litigare, superando gli scontri e le divisioni tra loro su chi è diritto e chi è storto… Ma io credo che, parlando della misericordia, il Papa si rivolgesse anche alle autorità cinesi. È anche un invito a riconsiderare insieme il passato, riconoscendo gli errori commessi. Non solo a parole, però. Anche con i fatti».