Ha contratto il virus probabilmente alla nascita e sembrava condannato. Ma terapie e accoglienza gli hanno restituito un futuro: «Questa è resurrezione!», dice suor Roberta Pignone, missionaria e medico a Khulna in Bangladesh
Emon aveva 6 anni quando si è presentato qui da noi al Damien Hospital di Khulna nel 2012 mandato da una ong che si occupa di malati di Aids. Aveva anche la tubercolosi ed era accompagnato dai due nonni materni e dal fratello maggiore, dieci anni più grande di lui e sano. I genitori erano già morti entrambi, la mamma verosimilmente si era ammalata tra le due gravidanze. Emon era uno scricciolo, malaticcio ma per nulla spaventato della sua situazione.
Si è fermato in ospedale con la nonna ed ha terminato la terapia per la tubercolosi per poi continuare quella antiretrovirale al villaggio, un luogo sperduto ai confini con l’India, dove non c’è proprio nulla e loro non avevano neppure un letto, ma dormivano per terra. Così il letto glielo abbiamo regalato noi, una sorta di “premio” per aver terminato la terapia per la Tb ed essere stato proprio un paziente modello.
Sono passati circa quattro mesi ed Emon è tornato con una brutta tosse; gli abbiamo fatto un esame dell’espettorato, ancora positivo, ma questa volta il bacillo era più cattivo del primo, resistente alla normale terapia. Lo abbiamo fatto ricoverare in un ospedale specializzato per questo tipo di cure nel nord del Bangladesh, accompagnato dal fratello e dal nostro capo del personale. Dopo tre giorni hanno chiesto di dimetterlo: le condizioni dell’ospedale erano terribili, con l’acqua del bagno del piano superiore che scendeva dal soffitto della sua camera.
È iniziata così un’altra “avventura” qui da noi, dove è stato ricoverato per più di un anno, sopportando due mesi di iniezioni alle quali non si è mai ribellato come spesso fanno i bambini.
Il nostro ospedale è diventato la loro casa. Una maestra veniva a fare lezioni private ai due fratelli che ormai si muovevano liberamente conoscendo ogni angolo: sapevano dove poter giocare, nascondersi e rubare la frutta dagli alberi quando non c’eravamo!
Si avvicinava la fine della terapia e io mi chiedevo come sarebbero potuti tornare al villaggio con il sistema immunitario così debole; ero sicura che sarebbe morto.
Da tempo sentivo parlare di un volontario italiano, Rudy, che gestiva una casa-famiglia per ragazzi soli o con gravi problemi. L’ho invitato a pranzo una domenica, ha conosciuto Emon e si sono piaciuti subito. Ho rivelato a Rudy che avevo un sogno: quello di dare un futuro a quel bambino, senza precisare che si sarebbe dovuto prendere anche il fratello. Però sono riuscita a convincerlo e dal febbraio 2014 i due ragazzi hanno cominciato a vivere nella casa-famiglia. Sono passati dieci anni e sono cresciuti: Emon ora ha 18 anni, continua la sua terapia antiretrovirale ed ha iniziato da poco il College. Da qualche mese portiamo nel cuore una gioia grande, la sua carica virale si è annullata, quindi potrà sposarsi e avere una famiglia normale. Ora si pensa al futuro in modo diverso. Questo è aiutare a tornare alla vita, questa è resurrezione!