AL DI LA’ DEL MEKONG
Evangelizzazione e confessione

Evangelizzazione e confessione

In una delle mie comunità c’è un’anziana signora. Se dovessi prendere lei come esempio, allora direi che va avanti grazie a due sacramenti, l’Eucarestia ogni domenica e la Confessione ogni qualvolta la sua coscienza la sollecita


«La Confessione…
non è un dialogo umano,
ma un colloquio divino» J. M. Escrivá

Di tanto in tanto si tenta qualche bilancio sull’evangelizzazione nella Prefettura Apostolica di Kompong Cham, distesa nell’ampia area geografica compresa fra il tratto cambogiano del fiume Mekong e il confine con il Vietnam. Sono passati ormai quasi trent’anni dalla ripresa della vita ecclesiale, dopo Pol Pot e l’occupazione vietnamita, ma allo stato attuale dobbiamo riconoscere una certa crisi. Le nostre comunità cristiane, che hanno vissuto il miracolo e la fatica di cominciare dallo zero assoluto, ora stentano a raggiungere una certa maturità nella fede, fermo restando molte storie belle di conversione grazie all’incontro con il Signore risorto.

Perché dopo trent’anni queste comunità sono ancora così fragili e con prospettive di crescita alquanto incerte? Azzardo una prima risposta. La ragione di una simile fragilità potrebbe risiedere nell’assenza di una pratica ordinaria del sacramento della Riconciliazione e nella mancanza del senso del peccato e della lotta interiore, come quella descritta dal celebre e povero Curato di campagna dopo il colloquio avuto con la contessa morente, quando ricorda «quel grande combattimento per la vita eterna da cui è uscita esausta ma invitta» (1). Qui la fede è lotta interiore. «Le mie battaglie – scriveva Etty Hillesum – le combatto dentro di me, contro i miei propri demoni» (2).

In una delle mie comunità c’è un’anziana signora. Se dovessi prendere lei come esempio, allora direi che va avanti grazie a due sacramenti, l’Eucarestia ogni domenica e la Confessione ogni qualvolta la sua coscienza la sollecita. Questi sono i pilastri della sua fede, non senza un profondo senso della mediazione sacerdotale che, quando mi incontra, si trasforma in rispetto, riverenza, affetto nei miei confronti. Talvolta mi telefona per sapere come sto e per accertarsi che non mi sia allontanato dall’area delle mie parrocchie perché significherebbe non avere né l’Eucarestia né il perdono di Dio.

C’è però anche una bambina, lei pure assidua alla Messa, anche se non ha ancora ricevuto il Sacramento dell’Eucarestia. Viene con i suoi genitori e dal suo modo di cantare il Confiteor in lingua cambogiana, all’inizio della celebrazione, mi dico, crescerà nella fede, farà strada! Quando canta, non riuscendo ancora a coordinare bene il respiro al ritmo della musica e delle parole, spesso con la voce arriva in ritardo e la sentiamo in coda ad ogni riga del canto, un pò dopo le voci degli adulti, quasi come una eco che sopraggiunge a ribadire e confermare con la sua voce bambina quello che i più grandi hanno appena cantato. È piacevole sentirla… e pensare che nella sua piccola anima, con quelle note e quelle parole, sta entrando anche la novità del perdono di Dio e la consapevolezza del proprio peccato.

Ora, i detrattori potrebbero obiettare che nei piccoli non c’è peccato e che non bisogna inculcare una percezione di sé così negativa che porta solo sensi di colpa. E nondimeno quel «ho molto peccato…» per «mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa» non ha lo scopo di distruggere l’autostima o appensatire la coscienza di chicchesia, fin da piccoli. Aiuta piuttosto a capire che ogni colpa è sempre una felix culpa e che in Cristo “dove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rom 5,20). Serve inoltre a riconoscere che il male, tutto il male, va considerato peccato, cioè in rapporto a Dio, per combatterlo insieme con Lui. Quando invece smette di essere considerato peccato, diventa “male assoluto”, senza più alcun legame con Dio. È allora che comincia a mimetizzarsi e a vincere.

Ritengo che la pratica della confessione sacramentale sia decisiva per il futuro delle comunità cristiane. Sembra comunque che anche nell’era digitale non si riesca a farne a meno. Qualche pensatore acuto ha cominciato a interpretare i social network come veri e propri «dispositivi confessionali». Le chiamano «tecnologie del sé», che favoriscono l’esposizione e la riflessione sulla propria interiorità, come un tempo nel confessionale. Vale la pena approfondire (3), ma nulla potrà sostituire il sacramento. E la Grazia che veicola, «quel dolce miracolo delle nostre mani vuote», direbbe il Curato, che rifà il cuore dell’uomo.

Mi sovviene qui la testimonianza di Paolo Borsellino, nel ricordo di un amico e collega. «Borsellino è sempre vissuto fra un attentato fallito e l’altro» – racconta l’amico. «Dopo la morte di Falcone, sapeva di essere ormai nel mirino; il giovedì prima dell’attentato venne a sapere che il tritolo per lui era già arrivato a Palermo… e per prima cosa chiama il suo confessore “vieni subito… confessami e dammi la Comunione… ho bisogno che sia pronto in qualsiasi momento al grande passo…”» (4).

Penso alla statura umana di un uomo così, formatosi nella lotta, all’ombra della Grazia, confessione dopo confessione, in un dialogo umano che è piuttosto un colloquio divino. Lo sappiamo, Borsellino muore la domenica successiva, il 19 luglio 1992.

 

1. G. Bernanos, Diario di un curato di campagna, Milano 1998, 149.
2. E. Hillesum, Diario 1941-1942, Milano 1996, 171.
3. Per approfondimenti leggi qui 
4. Guarda qui la testimonianza di Antonino Caponnetto