È passato un mese da quando il presidente Duterte ha proclamato legge marziale a Mindanao. Un operatore umanitario evidenzia i rischi di questa situazione, mentre continuano i combattimenti nella città di Marawi assediata dagli islamisti.
Da KIDAPAWAN – Reynaldo M. Saligan
Il 23 maggio scorso il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte ha imposto per due mesi la legge marziale su tutta l’isola di Mindanao, la più grande nel sud del paese, a causa delle attività terroristiche nella città islamica di Marawi della banda dei fratelli Maute, nota anche come Dawla Islamiyya. Gli islamisti hanno preso il centro di Marawi issando la bandiera dell’Isis, occupando gli ospedali e stabilendo posti di blocco. A cinque settimane dalla proclamazione della legge marziale, i combattimenti continuano, con il numero degli sfollati che continua ad aumentare e la città ormai in macerie.
L’assedio di Marawi ha riacceso i pregiudizi fra la comunità cristiana e quella musulmana. Da una parte si teme che le comunità musulmane possano nascondere terroristi al loro interno, e dall’altra che i cristiani si possano armare per combattere i musulmani, con il governo dalla loro parte. Questa sfiducia reciproca rischia di distruggere le relazioni costruite in questi anni e quella base di mutua comprensione e tolleranza faticosamente raggiunta dopo decenni di dialogo interreligioso e iniziative di costruzione della pace.
Allo stesso tempo, pressoché tutte le Chiese e gli operatori umanitari a Mindanao sono preoccupati per la dichiarazione della legge marziale e la sospensione dei diritti civili. La memoria degli abusi perpetrati sotto la legge marziale proclamata dal presidente Marcos fa ancora tremare quella classe sociale identificabile con i poveri, i deprivati, gli oppressi, e i marginalizzati (la legge marziale di Marcos durò circa dieci anni, a partire dal 1972, e in quel periodo più di tremila persone furono uccise e decine di migliaia torturate e imprigionate, ndr). La minaccia della legge marziale mette a rischio la pace e la sicurezza, e questa è la prima preoccupazione di chi lavora per la pace e i diritti umani.
Ad aggravare la situazione è la sospensione del quinto round di colloqui di pace fra il governo delle Filippine e il Fronte nazionale democratico delle Filippine, espressione del partito comunista delle Filippine e del New People’s Army, suo braccio armato, che stavano concordando il cessate il fuoco e riforme socio-economiche a vantaggio della popolazione povera delle Filippine. In più, l’assedio di Marawi ha coinciso con il mese sacro del Ramadan e gli ultimi ritocchi alla legge fondamentale sul Bangsamoro (l’entità politica che dovrebbe sostituire la Regione Autonoma nel Mindanao Musulmano, in base a un trattato di pace firmato dal governo delle Filippine e dal Fronte di Liberazione Islamico Moro nel 2014, ndr).
Oltre alle tensioni fra musulmani e cristiani, i timori sono che la legge marziale possa rallentare la costruzione di aree smilitarizzate (Peace Zones) nel sud delle Filippine; che le popolazioni indigene e i contadini che rivendicano il diritto alla terra a fronte di incursioni di investitori esteri e compagnie minerarie possano essere zittiti ed etichettati come “simpatizzanti comunisti”; che le legittime rimostranze circa episodi di abusi e corruzione perpetrati da pubblici ufficiali possano essere delegittimate come azioni contro il governo; e infine che gli operatori umanitari e religiosi vengano minacciati e intimiditi per il semplice fatto di lavorare con i settori più poveri, senza voce e marginalizzati della società.
Nel frattempo, le riforme promesse dal presidente Duterte sono ancora un sogno, perché la maggior parte dei filippini devono ancora fare i conti con la povertà, la corruzione e la distruzione deliberata e sistematica dell’ambiente in cui vivono.
La crisi che stiamo vivendo a Mindanao ci pone di fronte a nuove sfide. Innanzitutto quella di fare passi avanti nel dialogo interreligioso e di vita fra cristiani e musulmani. Ci sono state diverse iniziative di successo che hanno visto protagonista la Chiesa cattolica e i leader religiosi musulmani, così come organizzazioni non governative. È essenziale continuare su questa strada per preservare e ricostruire i legami di rispetto fra le comunità. Al governo chiediamo di considerare i mandati di pace ricevuti e di prevenire ulteriori distruzioni di proprietà e relazioni. Invitiamo i cristiani impegnati nel processo di pace a tener presente l’invito di Cristo Risorto: «Non abbiate paura!» e a vivere in solidarietà con i nostri fratelli e sorelle tribali e musulmani, tendendo una mano a chi è nella sofferenza mentre continuiamo a costruire un regno di giustizia e di pace.
Reynaldo M. Saligan si occupa di peacebuilding come membro dell’Inter-Cultural Organizations’ Network for Solidarity and Peace (Icon-Sp) con sede a Kidapawan, Mindanao centrale, una rete di organizzazioni non governative, gruppi e persone il cui obiettivo principale è promuovere e proteggere i diritti umani, il buon governo, la pace e l’ambiente.