Giappone: gli ainu sono un popolo «indigeno»

Giappone: gli ainu sono un popolo «indigeno»

Una legge in discussione in Parlamento per la prima volta riconosce l’identità di questa minoranza dell’isola di Hokkaido, in passato vittima di politiche di assimilazione forzata

 

Potrebbe essere merito delle Olimpiadi di Tokyo del 2020 se, per la prima volta nella storia, la minoranza ainu dell’isola di Hokkaido sarà riconosciuta come popolazione “indigena” del Giappone da una legge nazionale. Tokyo, infatti, ha grandi progetti per il boom turistico che dovrebbe accompagnare i Giochi. E piace molto la prospettiva di attrarre i visitatori stranieri nel nord dell’arcipelago con il fascino del folklore, grazie anche alla presenza di un’etnia locale.

Per comprendere la portata di questa novità, non bisogna dimenticare qual è stata finora la politica giapponese nei confronti delle minoranze. La risposta è semplice: queste ultime in Giappone non esistono. Il pensiero ufficiale dominante è che il popolo giapponese sia etnicamente unico e omogeneo. In quest’ottica, i nippocoreani, discendenti di immigrati dalla vicina penisola, nel 1939 si sono visti costretti a rinunciare persino ai loro nomi e obbligati ad adottare uno tsumei, ossia un nome giapponese. Molti di loro, quando questa ingiunzione è venuta meno dopo l’ultima guerra mondiale, hanno scelto di tenersi il nome giapponese per evitare discriminazioni. Per tradizione, chi è diverso dalla maggioranza in Giappone non è mai ben visto.

Il trattamento riservato agli ainu, tuttavia, è stato ancor più duro. L’isola di Hokkaido è entrata a far parte dell’impero giapponese nel 1868. Coloni giapponesi vi risiedevano già dal XVII secolo, guardando ai nativi con sufficienza. Per il loro stile di vita, molto legato alla caccia e alla pesca e in stretto rapporto con la natura, gli ainu erano considerati barbari e selvaggi. Allora non si sapeva neppure da dove provenissero; oggi si ipotizzano delle remote origini siberiane. Gli uomini con le loro lunghe barbe – ben diversi dai glabri giapponesi – venivano derisi perché pelosi. Anche la loro lingua, incomprensibile alle orecchie nipponiche, li faceva percepire come elemento estraneo.

L’impero avviò quindi una politica di assimilazione forzata: gli ainu dovevano diventare giapponesi, dimenticando le loro tradizioni, la religione animista e l’idioma. Anche per loro, fu istituito l’obbligo di adottare nomi giapponesi e di adattarsi alla cultura dominante. Per Tokyo, l’isola di Hokkaido divenne una sorta di Far West da conquistare: nuovi coloni erano incoraggiati a trasferirsi, mentre i nativi venivano trattati alla stregua degli indiani d’America. Non furono rinchiusi in riserve, ma certamente si trovarono impoveriti, persero le loro terre ancestrali e il loro millenario stile di vita.

Malgrado questo tentativo ben orchestrato di cancellare per sempre l’identità ainu, a distanza di oltre cent’anni gli ainu resistono ancora. Nel 1994, Shigeru Kayano è stato il primo ainu a sedere nel parlamento giapponese. Quest’uomo non è stato solo un politico, ma un vero portavoce del suo popolo. Dalla nonna aveva appreso le tradizioni ainu e parlava correttamente la lingua che i giapponesi volevano sradicare. Grazie alla sua influenza, nel 1997 il Giappone ha promulgato la prima legge per promuovere la cultura di questa etnia. La condizione svantaggiata degli ainu, tuttavia, persiste. Ne è prova una ricerca delle autorità regionali di Hokkaido, svolta nel 2017 in 63 comuni dove risiedono degli ainu, la quale attesta una limitata presenza di studenti di questa etnia nelle università. Inoltre, il 23 per cento degli intervistati (su un campione di 671 persone) ha dichiarato di aver subito discriminazioni a causa della propria identità ainu.

In questo scenario, la nuova normativa allo studio in Giappone giunge come un importante “passo in avanti” anche secondo Shiro Kayano, il figlio di Shigeru, interpellato dal quotidiano Asahi Shimbun. La legge dovrebbe portare a un’eliminazione delle discriminazioni nei confronti degli ainu, proteggendone “l’onore e la dignità, per poterli trasmettere alle future generazioni e realizzare una società vivace, con una diversità di valori”, come ha dichiarato un portavoce governativo. Saranno persino cancellati alcuni divieti che impediscono agli ainu la pesca al salmone con i metodi della tradizione.

Nel bilancio 2019, il governo prevede uno stanziamento di 1 miliardo di yen (circa 8 milioni di euro) per finanziare progetti di promozione della cultura locale e per lo sviluppo del turismo. A Shiraoi sarà inaugurato nell’aprile 2020 un museo nazionale ainu e un parco, con l’ambizioso obiettivo di attrarre un milione di visitatori all’anno. Il lancio coincide con l’anno delle Olimpiadi, in cui si prevede un afflusso di 40 milioni di turisti stranieri, che viaggeranno nell’arcipelago e visiteranno anche Hokkaido, dove il nuovo museo sarà una carta da giocare nell’offerta turistica.

Qualche voce di dissenso si è già levata: si tratterà di un autentico riconoscimento dei diritti degli ainu? Per Tokyo, che ha ancora molto lavoro da fare in tema di minoranze, questo potrebbe essere un buon banco di prova. Se la condizione degli ainu effettivamente migliorerà, forse si apriranno spiragli anche per altri gruppi minoritari e marginalizzati, dai nippocoreani ai burakumin, persone ancora oggetto di una poco appariscente discriminazione, difficile da sradicare.