«Ed ecco, sei stella che spunta
dall’orto di un nero paese,
schiarendo la terra consunta
in verginità di turchese» (Arturo Onofri)
Questi sono giorni ricchi di certezze, anche se fragili e spesso smentite dalla cronaca quotidiana, in un Paese come la Cambogia, governato da un partito unico che non si è guadagnato il consenso del popolo con la forza delle idee, ma con la forza bruta della prepotenza, eliminando qualsiasi forma di dissenso e inquinando le acque del Mekong con l’opportunismo dei furbi, la legge dei più forti, l’impunità dei colpevoli e l’assenza di qualsiasi rimorso post-factum. La crisi ad ogni latitudine è antropologica. Ma la sua radice è teologica.
Vale la pena lavorare in questo Paese, sia chiaro! Anche se vende le sue terre migliori a chi offre di più, ultimamente la Cina, e mette a disposizione i suoi luoghi più sacri, i grembi delle sue figlie più povere e vulnerabili, a gente senza scrupoli che cerca la propria realizzazione attraverso il corpo di altri. La recente scoperta di una rete di 33 madri surrogate che partorivano bambini da cedere a coppie committenti (ancora cinesi) per 10.000 dollari l’uno è solo uno dei sintomi acuti di una malattia che nessuno riesce a guarire: la diffusa tendenza a trasformare tutto, terre, corpi, amori, in un unico grande mercato. Perché questo è il vero partito, incolore, insapore, tronfio e idolatra, cinico e indifferente.
Qualche giorno fa stavo rientrando in macchina da Phnom Penh a Kompong Cham e, come spesso capita, mi sono imbattuto in un incidente stradale appena accaduto. Una donna giaceva ai bordi della strada circondata da due poliziotti che stavano fotografando e filmando la scena con i loro smartphone. Prima di un qualsiasi soccorso o tentativo di parlare alla malcapitata che si agitava chiedendo aiuto, i poliziotti tergiversavano, fotografavano e filmavano. Di lì a poco, avrebbero postato tutto su Facebook, angusta vetrina dei nostri mondi piccoli, senza pudore e senza rispetto. Con il risultato che a 300 km di distanza, gli “amici” di quei due poliziotti avrebbero ricevuto la notizia dell’accaduto ben prima dei medici del vicino ospedale, distante solo 4 km dal luogo dell’incidente. La foto e il post prendono il posto della cura. Questa è la grave “deriva digitale” dei nostri tempi che ci trasforma in spettatori cinici e distanti.
C’è poi una tendenza altrettanto diffusa a rimuovere, dimenticare. E violentare la verità dei fatti. Ne sono un esempio gli ex-leader khmer rossi già condannati: tendono ad autoassolversi senza alcun rimorso per le atrocità commesse, come se la loro coscienza fosse muta, anche di fronte alle prove che dimostrano il loro pieno coinvolgimento nel genocidio del popolo cambogiano. Questa fatica a percepire la gravità e le conseguenze dei propri atti, la ritrovo diffusa ad ogni livello e sbriciolata in mille banali atteggiamenti: farla franca, approfittarne, arricchirsi, scappare, mentire…
Eppure sono giorni ricchi di certezze anche se le prossime elezioni del 29 luglio saranno una farsa perché già decise dal partito più forte, il Cambodian People’s Party. In ossequio alla più autentica retorica politica populista e per assicurare gli osservatori stranieri che la Cambogia è ancora un Paese democratico, hanno creato una pletora di partiti minori, ma tutti sanno che i giochi sono fatti. L’impossibilità di dibattere lascia a chi dissente l’arma dell’astensionismo. Alcuni giorni fa si è diffusa la notizia secondo la quale l’inchiostro per l’impronta del pollice necessaria al processo di voto potrebbe essere velenoso, e quindi sarebbe meglio non votare. Queste notizie, per quanto false, sono il tentativo di disseminare confusione, incertezza, ritrosia al voto… e riprendersi la rivincita sull’eterno Primo Ministro la cui reazione non si è fatta attendere: chi diffonde simili fake news può essere «geo-localizzato in sei minuti» e arrestato, anche se residente all’estero. Questo dà la misura del controllo in atto.
È chiaro quindi che questi giorni sono ricchi di certezze non per via di chi comanda, ma per mille altri motivi. Per quel manipolo di seminaristi che presso il Seminario Maggiore di Phnom Penh, la settimana scorsa, ha sostenuto l’esame di teologia trinitaria cimentandosi con la densità del mistero di Dio, Uno e Trino. Che meraviglia sentirmi dire «padre, se Dio è relazione e se la relazione tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, è la sostanza di Dio, allora tutto è relazione: la vita, l’amore, la politica, l’economia, l’architettura. Solo proteggendo questa dinamica relazionale al cuore di ogni cosa, perché è al cuore di Dio, la Cambogia può cambiare». La crisi ad ogni latitudine è antropologica, ma la sua radice è teologica.
Sono giorni ricchi di certezze. Per una nonna che ha chiesto il battesimo per sé e per i nipotini «perché sono ancora piccoli e non possono rimanere fuori dalla Chiesa». Sono giorni ricchi di certezze. Per quel gruppetto di studenti che vive con noi e che la sera vuole pregare con la Compieta, ripetendo ogni giorno il congedo del vecchio Simeone, «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola perché i miei occhi han visto la tua salvezza…». Sono giorni ricchi di certezze per tutti i ragazzi che vengono alla nostra scuola, con fedeltà e desiderio, come quelle fanciulle di religione musulmana che non perdono un giorno e la sera, avvolte nei loro colori, ritornano a casa, «schiarendo la terra consunta / in verginità turchese».