Evacuati precipitosamente in Pakistan o in altri Paesi, nell’agosto di due anni, fa in seguito alla presa del potere da parte dei Talebani, circa 50 mila profughi afghani potrebbero ora essere trasferiti nelle Filippine, nell’attesa che gli Stati Uniti esaminino le loro domande. Ma alcuni senatori filippini hanno già sollevato dubbi. E intanto i profughi rimangono bloccati e spesso perseguitati
AsiaNews: Alcuni funzionari e politici delle Filippine si sono opposti alla richiesta di Washington di ospitare temporaneamente circa 50 mila rifugiati afghani prima che questi vengano trasferiti negli Stati Uniti. «Sebbene l’accordo proposto sia di natura umanitaria, non comporterà l’ammissione o l’accoglienza di rifugiati afghani», ha comunicato il ministero degli Esteri.
La richiesta era stata presentata a Manila già a ottobre dello scorso anno, ha spiegato l’ambasciatore filippino a Washington e cugino dell’attuale presidente Ferdinand Marcos Jr., Jose Manuel “Babe” Romualdez. Egli ha sottolineato che se la richiesta dovesse essere accolta, gli Stati Uniti copriranno tutti i costi. Parlando al Senato ha inoltre specificato che non si tratta di rifugiati, ma di ex dipendenti del governo degli Stati Uniti, che arriveranno in blocchi di circa 1.000 persone alla volta.
Con il ritorno al potere dei talebani il 15 agosto 2021, decine di migliaia di afghani che avevano lavorato con i militari o i media americani sono stati evacuati nel vicino Pakistan e in altri Paesi terzi in cui vengono valutate le loro richieste di un visto per gli Stati Uniti. Tuttavia il governo di Washington, dopo quasi due anni, deve ancora esaminare circa 150 mila domande. Il Pakistan aveva impedito l’ingresso ai funzionari statunitensi incaricati di condurre interviste con i rifugiati ostacolando la creazione dei centri per il reinsediamento. Nel frattempo negli ultimi 18 mesi sono scaduti i permessi di soggiorno dei richiedenti asilo che erano riusciti ad ottenerli regolarmente. Senza documenti gli afghani non possono studiare o lavorare e sono arbitrariamente rispediti al confine o arrestati dalle autorità locali, che spesso estorcono loro denaro con minacce.
L’ambasciatore Romualdez ha specificato che gli Stati Uniti hanno semplicemente chiesto assistenza nell’elaborazione dei visti, che verranno rilasciati da un’apposita struttura nelle Filippine. Mentre il governo di Manila ha dichiarato che sta valutando la proposta (una decisione dovrebbe essere presa verso la metà di luglio), la senatrice Imee Marcos, sorella del presidente e a capo della Commissione per le relazioni estere del Senato, ha avviato un’indagine sull’accordo esprimendo il dubbio che alcuni rifugiati possano lavorare come spie per gli americani: «Nell’ultimo anno le minacce di spionaggio e alla sicurezza sono aumentate in modo significativo a causa della forte escalation di tensione tra le superpotenze rivali», ha detto la senatrice in udienza parlamentare. «Il fatto che gli Stati Uniti non vogliano più ospitare questi stranieri all’interno del territorio americano non ci preoccupa? Sostengono che il rischio per la sicurezza sarà molto basso, che arriveranno solo gruppi altamente controllati e che il visto speciale per immigrati è assicurato, eppure non li vogliono», ha continuato Marcos.
Il National Bureau of Investigation e la National Intelligence Coordinating Agency hanno dichiarato che temono che possano essere attivate “cellule dormienti” di terroristi e anche la vice presidente delle Filippine, Sara Duterte, figlia dell’ex presidente Rodrigo, si è opposta alla richiesta di Washington, dicendo che la proposta potrebbe minare la sovranità del Paese: «Sembra che il processo di verifica sarà svolto dagli Stati Uniti. Pertanto, questa è un’interferenza nella nostra esclusiva determinazione su chi può entrare nel nostro Paese», ha dichiarato ai media un suo portavoce.