Il confronto elettorale di domenica 22 novembre a Hong Kong è stato il primo dopo la Rivoluzione degli Ombrelli. Dalle urne emerge qualche segnale di cambiamento.
Dalle elezioni di domenica scorsa a Hong Kong emergono pochi outsider eredi della Rivoluzione degli Ombrelli e una ulteriore polarizzazione della politica locale.
Vincitrice a metà anche la politica rappresentativa, che se ha incanalato una percentuale elevata di votanti secondo gli standard locali, il 47% degli aventi diritto, ovvero 1,4 milioni di elettori sui sette milioni di abitanti complessivi, non ha concesso margini a un cambiamento reale che coinvolgesse la cittadinanza.
Vero è che i consigli di distretto per cui si è votato hanno una funzione molto relativa sul piano concreto, ma vero anche che sul voto pesavano aspettative superiori alla norma. Si trattava infatti della prima consultazione elettorale dopo il tempo delle proteste e delle occupazioni dell’autunno 2014.
I risultati del voto in cui si sono confrontati 900 candidati per 431 seggi dei 18 distretti in cui è divisa la metropoli sono risultati alla fine poco decisivi.
Vittoria ancora una volta attribuita – ma con maggiore frammentazione e sintomi di insofferenza delle giovani leve di votanti – ai partiti filo-governativi e filo-Pechino, che hanno totalizzato 191 seggi. Lieve miglioramento ma ancora lontani da una vittoria, con 83 seggi, i partiti democratici di varia affiliazione, con la l’affermazione a sorpresa dei Neo-democratici per 15 dei 16 seggi a cui si erano candidati.
Al di là dei risultati, sono due i dati sostanziali usciti dal voto di domenica.
Il primo l’indebolimento della politica tradizionale, della “vecchia guardia” dei due schieramenti, evidenziata dalla sconfitta di due veterani del Partito democratico, parlamentari di lungo corso, come Albert Ho e Frederick Fung. Il secondo, l’affermazione di sette degli oltre 50 candidati indipendenti, parte dei movimenti di occupazione dello scorso anno. Una partecipazione per certi aspetti ambigua, dato che ha strappato preferenze anche al fronte democratico, ma che indica come l’esperienza dell’occupazione che nell’autunno dello scorso anno portò la sfida di studenti, intellettuali e attivisti al governo locale e alla lontana Pechino che lo controlla non è già storia, ma humus su cui coltivare esperienze politiche.
Tra processi a carico dei leader della protesta – in particolare quelli dei movimenti Occupy Central, Scholarism e Federazione degli studenti – e l’impegno tradizionale dei partiti di campo democratico, si situa la ricerca di strade diverse di azione e di partecipazione.