Si sono messi in fila per votare come non era mai accaduto. E i risultati – con il voto in massa dei giovani per i partiti democratici – sono eloquenti. Non si può rimanere indifferenti all’appello di una città meravigliosa, che con grande compostezza chiede di poter partecipare alla vita pubblica e politica
Le elezioni distrettuali a Hong Kong di ieri, 24 novembre 2019, sono state una grande dimostrazione di maturità civica. Finalmente una domenica pacifica, senza proteste e senza violenze. La gente, instancabile, si è messa in fila per votare. Code interminabili. Alcuni hanno dovuto attendere due ore per il loro turno. Non si era mai registrata, nella storia elettorale di Hong Kong, una partecipazione così alta. Hanno votato tre milioni di cittadini, più del 70 percento degli aventi diritto (occorre registrarsi per ricevere la tessera elettorale). I risultati sono eloquenti: sconfitta netta dei candidati pro-Cina; vittoria clamorosa di quelli pro-democrazia.
In passato, nelle elezioni distrettuali i candidati pro-Cina avevano la meglio, attrezzati come erano a persuadere i votanti con vantaggi immediati. Dal 2015 il fronte filo-cinese aveva la maggioranza in tutti i 18 distretti. Ieri i democratici hanno vinto in 17 distretti su 18. Il diciottesimo distretto, quello delle isole minori, non è stato vinto solo perché – per privilegio – otto seggi vengono automaticamente assegnati ai capi villaggio, tutti pro-Cina. Poche ore fa sono stati ufficialmente dati i risultati finali: tra i 452 seggi in palio, i partiti pro-democrazia ne hanno vinti 347; gli indipendenti – la maggior parte dei quali a favore della democrazia – ne hanno vinto 45. Ai partiti pro-Cina sono rimasti solo 60 seggi (ne avevano 292).
Una analisi del voto mostra che i giovani hanno votato per i partiti democratici. Molti candidati pro-Cina hanno perso pur avendo ottenuto lo stesso numero di voti della precedente elezione. Sono stati i nuovi elettori, in gran parte giovani, a dare una svolta a favore dei partiti di opposizione. Gli oppositori hanno vinto ovunque, sia nei quartieri colpiti da mesi di dimostrazioni e violenze, sia in quelli che erano rimasti relativamente tranquilli. Sono stati eletti leader riconosciuti delle proteste popolari che sono state, in gran parte, pacifiche (giova ricordarlo). Il voto – pur essendo tecnicamente amministrativo, legato alla gestione della vita di quartiere – ha assunto un enorme significato politico. È stato una sorta di referendum sull’amministrazione di Carrie Lam, la governatrice, e sulle dimostrazioni iniziate lo scorso nove giugno. La gente ha detto con il voto di sostenere il movimento pacifico, la richiesta per la democrazia e per un’indagine indipendente circa le violenze della polizia. Inoltre c’è una ricaduta politica significativa: gli eletti nei consigli distrettuali influiscono nella composizione del comitato dei grandi elettori per l’elezione del Capo esecutivo. Questo mette in allarme Pechino e il sistema consolidato di potere di Hong Kong.
Le incognite sul futuro aumentano. Pechino sembra temere un progressivo distacco della città. Carrie Lam ha dichiarato che «ascolterà con umiltà» il responso della gente. C‘è da sperarlo, ora che anche i candidati pro-Pechino sconfitti l’accusano di essere responsabile della loro caduta politica. Ma farla dimettere aprirebbe una crisi al buio. È davvero ammirevole il coraggio e la chiarezza di orientamento del popolo di Hong Kong. La gente ha parlato, chi l’ascolterà? Il mondo ha guardato con attenzione il voto di Hong Kong, ne ha colto il significato politico e civile. La città di Hong Kong si è espressa, e l’ha fatto con una civiltà altrove sconosciuta. Non si può rimanere indifferenti all’appello di una città meravigliosa, che con grande compostezza chiede di poter partecipare alla vita pubblica e politica.