Domenica 6 settembre doveva essere il giorno delle elezioni parlamentari, rinviate con il pretesto del Coronavirus. Invece l’uso della legge sulla sicurezza nazionale per far tacere qualsiasi voce di dissenso nei confronti di Pechino funziona benissimo. E anche tra i cattolici fa discutere l’«ammonizione fraterna» dell’amministratore apostolico John Tong ai preti di astenersi da dichiarazioni politiche durante le omelie
Nuove pagine da Hong Kong, e tutte, purtroppo, negative. Quello del 6 settembre, è un appuntamento mancato per Hong Kong, una pagina che resterà bianca. Le elezioni programmate per questa domenica sono state ‘rinviate’ a causa del coronavirus che, mai come in questo caso, è un felice sussidiario di politiche antidemocratiche. Era evidente, dopo le elezioni amministrative dello scorso novembre 2019, che i partiti democratici avrebbero vinto tutti i seggi ad elezione diretta loro disponibili. Nel frattempo una dozzina di candidati particolarmente controversi erano stati ‘squalificati’ e non potevano più essere inseriti nelle liste elettorali. Infine le autorità di Pechino hanno congelato l’attuale parlamento per un altro anno. La maggioranza dei seggi rimane dunque alla coalizione pro-Cina. C’è da chiedersi se Hong Kong avrà mai più un parlamento in cui la gente può eleggere almeno una parte dei seggi.
La legge per la sicurezza nazionale, entrata in vigore la notte del 30 giugno, funziona benissimo: continuano numerosi gli arresti, alcuni di parlamentari e altre persone molto in vista, come Jimmy Lai, il fondatore del giornale di opposizione Apple Daily. Si ha notizia anche dell’arresto di attivisti che cercavano di raggiungere Taiwan via mare: sono finiti direttamente nelle mani della polizia della Repubblica popolare cinese.
Come abbiamo già scritto, Hong Kong non è più la stessa. Era una città libera, ora non lo è più. L’università di Hong Kong ha licenziato Benny Tai, l’accademico coinvolto nell’organizzazione del movimento “Occupiamo il Centro” del 2014. Il Liaison Office ha salutato questo sopruso come un atto di giustizia che punisce il male e premia la virtù. Il Liaison Office è l’ufficio di collegamento tra Pechino e Hong Kong. Una volta definito “l’ambasciata della Cina in Hong Kong”, oggi è di fatto il governo ombra, per conto di Pechino, a Hong Kong. Vi opera anche il commissario inviato per applicare la legge sulla sicurezza nazionale.
Una legge che incombe come un macigno su tanti ambienti cruciali della vita sociale, associativa e culturale, nelle scuole e nelle università. Non c’è più spazio per la libera espressione del pensiero libero o dissidente. Viene adottata una spiccata forma di autocensura: l’argomento ‘politica’ viene evitato nelle conversazioni pubbliche e nei social. Non si dice più quello che si pensa. Come mi hanno riferito amici, si impara a star zitti.
La Chiesa cattolica, in particolare, vive un momento di straordinaria difficoltà. Le chiese sono ancora chiuse a causa del coronavirus. Questo prolungata sospensione della vita liturgica e ecclesiale non può che aumentare la sfiducia, la demoralizzazione e il senso di impotenza. Dal 3 gennaio 2019 Hong Kong è senza vescovo ordinario: sono passati quasi due anni dalla morte del vescovo Michael Yeung. Hong Kong si è trovata senza una guida forte, autorevole, con pieni poteri proprio nel momento più difficile della sua storia recente. L’amministratore apostolico è il cardinale John Tong, un uomo moderato e per bene, incline al dialogo e al ‘basso profilo’, piuttosto anziano e strappato – certamente controvoglia – dal pensionamento già iniziato. Le sue iniziative, per quanto assunte in buona fede e in vista di quanto lui ritiene sia il bene della Chiesa in un momento difficile, suscitano in ampie aree della comunità ecclesiale perplessità e persino dispiacere o opposizione.
In agosto la diocesi aveva inviato alle circa trecento scuole cattoliche (un fiore all’occhiello del cattolicesimo in città) una lettera in cui si invita a prendere propriamente atto della legge sulla sicurezza nazionale ed evitare la politicizzazione nelle aule scolastiche. La commissione di Giustizia e Pace, sempre molto impegnata nel campo sociale e politico con posizioni molto coraggiose, si è vista ‘stoppata’ dalla diocesi dal promuovere la raccolta dei fondi necessari per divulgare una preghiera per Hong Kong ritenuta troppo esplicita nell’attuale clima politico. La diocesi ha disapprovato sia il metodo della petizione che il contenuto della preghiera.
Lo scorso 28 agosto il cardinal Tong ha preso l’iniziativa di inviare ai presbiteri e ai diaconi della diocesi una ‘ammonizione fraterna’. Li ha invitati, in sostanza, ad astenersi da dichiarazioni politiche durante le omelie. In realtà John Tong ha scritto una lettera articolata in cui riafferma il ruolo profetico della Chiesa e il diritto di esprimersi nelle questioni pubbliche. Ma invita i predicatori a non usare frasi violente e offensive, a non mettere nelle omelie le proprie idee politiche, e a non trasformare la liturgia in un messaggio politico. E questo ci può stare.
Quello che lascia perplessi è la tempistica. Mai nel passato un vescovo era intervenuto per disciplinare gli eccessi dei preti; farlo ora sembra una censura della libertà dei presbiteri. Forse sarebbe bastato indirizzarsi direttamente a quei pochissimi predicatori che occasionalmente sono intemperanti nelle loro omelie. Secondo molti si manda un segnale di arrendevolezza verso i governi locale e nazionale. Si teme che ne esca indebolita la libertà e l’autorevolezza della Chiesa. Conosco bene la rettitudine e l’amore per la chiesa del Card Tong, e simpatizzo con lui, che si trova suo malgrado in una situazione impossibile. Quando penso a lui, con cui ho collaborato felicemente e giornalmente per vent’anni, prevale in me un senso di rispetto, lealtà e amicizia.
Non cambia tuttavia la valutazione su quello che sta succedendo, ovvero Hong Kong, come diciamo da tempo, è stata stravolta. Aumenta, progressivamente e inesorabilmente, l’erosione delle libertà delle agenzie educative come le scuole e le università. Le comunità ecclesiali e le religioni entreranno nel mirino diretto in un secondo momento, dopo che il partito al potere si sarà assicurato il controllo dei centri nevralgici della vita della città.
È un vero peccato quanto sta succedendo. È finito un esperimento che aveva un significato straordinario: una città cinese, sotto l’autorità di Pechino, che viveva nella libertà e tendeva ad aumentare gli spazi di partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica. Un esperimento valido anche per la Cina. È probabile che questa fosse la mente di Deng Xiaoping quando inventò la formula “un Paese – due sistemi” e indicò 50 anni di continuità per Hong Kong. Ma questo progetto è finito. E sono passati solo 23 anni.