Padre Gian Paolo Gualzetti, missionario del Pime in Bangladesh, racconta una storia quotidiana di accoglienza in missione. E di legami che anche a distanza restano saldi nel tempo
Dopo Natale tutte le parrocchie del Bangladesh sono impegnate a benedire le nozze di molti giovani. Di solito anch’io ricevo molti inviti dai figli o figlie delle vecchie conoscenze dei parrocchiani di Mirpur o dai giovani lavoratori e lavoratrici che frequentano il nostro centro di Zirani. Mi è difficile rispondere a tutti sì, un po’ per le date che si accavallano con altre cerimonie diocesane oppure per le grandi distanze da percorrere quando bisogna andare al nord. Ma al matrimonio di Maria non potevo proprio mancare, perché abbiamo la stessa età. Non sto parlando di una sessantenne che ormai si sposa, anzi Maria è una giovinetta, infermiera diplomata, nata nel 1993, anno del mio arrivo in Bangladesh. Ed è proprio quella data che ci lega, ma andiamo con ordine.
Dopo Pasqua è tradizione che i missionari del Pime facciano la prima delle due assemblee annuali. In quell’anno venne in visita apostolica il consigliere generale padre Pedro Belcredi. Terminata l’assemblea padre Gianni Zanchi, superiore regionale, programmò la visita di padre Pedro alle missioni di Rajshahi e mi invitò a salire in macchina con loro. Dopo la tappa di Benedwar arrivammo di buon mattino alla missione di padre Emilio Spinelli a Chandpukur. Per chi conosce padre Emilio non sarà difficile immaginare il racconto che segue.
Qualche giorno prima del nostro arrivo alla missione un gruppetto di donne di un villaggio non molto lontano si recò da padre Emilio con in braccio una neonata già deperita a causa della morte della sua mamma al momento del parto. Il latte per allattarla non c’era perché le condizioni di povertà erano grandi e così il papà con già quattro bambini su consiglio del villaggio accettò di consegnarla alle cure della missione. Padre Emilio la affidò da subito alle cure della sua cuoca, anch’ella già vedova. Appena padre Pedro scese dalla macchina padre Emilio con la sua voce piena e
cordiale ci accolse con un: “Bene, siete arrivati!!! Oggi, caro Pedro, c’è un battesimo da celebrare!”. Lui acconsentì senza fare nessuna obiezione, probabilmente si conoscevano da lunga data, ma la mamma di adozione timidamente disse: “Ma non ci sono il padrino e la madrina”. “Niente paura” esclamò padre Emilio “c’è qui padre Gian Paolo e poi c’è anche la suora”. E così, senza possibilità di appello, divenni il “dormo babà” (il padre della religione) di Maria.
La mamma di adozione e il padre della missione, padre Emilio, non le fecero mancare niente. Nella nuova famiglia trovò un fratello di cinque anni e piano piano con gli alti e bassi dell’età, crebbe e studiò. Da grandina padre Emilio le propose di tornare dal suo papà, ma dopo una breve prova, Maria scelse di stare con la propria mamma adottiva. Ho seguito tutti i suoi passi “a distanza” con gli aggiornamenti puntuali di padre Emilio e poi, con la “nuova era del telefonino”, con le sue chiamate e le mie visite agli ostelli di Rajshahi e Dinajpur. “Tutto qui!?” qualcuno si chiederà. Non è facile tenere il “balance”, senza strafare, nei rapporti familiari, in compenso avevo la foto del giorno del suo battesimo nel mio breviario e quindi una preghiera gliela donavo sempre volentieri.
Oggi è il grande giorno per lei a cui non potevo mancare. Con lei ho presenziato il mio primo battesimo in Bangladesh e sempre con lei celebro il mio primo matrimonio in villaggio (io cittadino dalla nascita anche in Bangladesh) con tutti i crismi: banda, danze di accoglienza e lavaggio dei piedi. Ma quello che conta è che Maria e Shusanto si vogliano bene con quell’amore reciproco, aperto a ridonare il bene che hanno ricevuto gratuitamente dai loro cari.