Il presidente Maithripala Sirisena da tempo opposto al suo primo ministro Ranil Wickramasinghe da una faida politica e di personalità che tiene in scacco il Paese: è in questo scenario di un Paese tuttora dilaniato da appartenenze trasversali che si è consumato a Pasqua il più grave attacco da decenni contro i cristiani in Asia
Lo Sri Lanka piange i suoi 359 morti innocenti e cerca spiegazioni alle azioni dei terroristi suicidi che la domenica di Pasqua hanno fatto strage in tre chiese e in altrettanti hotel frequentati da una clientela internazionale. Restano però ancora incerte le motivazioni di questo evento terroristico che non solo è stato il più devastante nel Paese asiatico dalla fine della quasi trentennale guerra civile nel maggio 2009, ma che è pure il più grave atto di persecuzione contro i cristiani in Asia da decenni.
Dopo i primi funerali di massa, il 25 aprile e fino a data da destinarsi sono state sospese le cerimonie religiose nelle chiese del Paese. Un segnale chiaro che la situazione resta lontana dalla normalità e il rischio di altri attentati è consistente.
Le voci sulle falle nella sicurezza sono emerse da subito, inclusi i ripetuti avvertimenti da parte indiana di possibili attentati contro chiese cristiane e altri obiettivi. Caduti nel vuoto, l’ultimo poche ore prima della catena di attentati. La stessa ambasciatrice statunitense a Colombo, Alaina Teplitz ha parlato di “qualche chiara falla nel sistema”. Tuttavia, in contraddizione con le fonti della sicurezza indiana, Washington non avrebbe avuto “alcuna conoscenza preventiva” di una minaccia imminente, anche se l’ambasciatrice ha confermato un coinvolgimento dell’Fbi e di esperti delle forze armate Usa nelle indagini.
Negata dalla premier neozelandese Andern, invece, la circostanza sostenuta dall’Isis e rilanciata dalle autorità srilankesi che la serie di attentati sia stata una ritorsione per l’uccisione in due moschee di Christchurch di 50 musulmani a opera di un suprematista australiano il 15 marzo scorso.
“I funzionari della sicurezza che hanno ricevuto il rapporto da una nazione straniera non l’hanno condiviso con me. Ho deciso di prendere azioni decise nei loro confronti”, ha indicato il presidente Maithripala Sirisena, da tempo opposto al suo primo ministro Ranil Wickramasinghe da una faida politica e di personalità che tiene in scacco il Paese ed è alla base anche di episodi recenti di tensioni e crisi istituzionale.
Wickremesinghe ha avvertito che potrebbero esserci altri militanti pronti ad agire e ha riconosciuto che ci sono state informazioni di possibili attacchi non considerate. Ha anche comunicato che un quarto attentato contro un grande albergo e forse anche contro l’ambasciata indiana sono stati sventati o sospesi. Le autorità srilankesi, che hanno da subito chiamato in causa elementi locali in connessione con organizzazioni internazionali non espressamente nominate, hanno accusato un gruppo estremista islamico autoctono, il National Thowheed Jamath, il cui leader, Mohammed Zahran, è (forse “era”, se venisse confermata la sua presenza tra gli attentatori suicidi) noto per le idee radicali, i video di propaganda postati in Internet e i frequenti viaggi in India, oltre che per le connessioni che millantava con gruppi all’estero. Senza per questo essere sottoposto a un controllo particolare. A focalizzare l’attenzione su di lui, il video postato sul sito jihadista Aamaq, in cui il sedicente stato islamico ha rivendicato la responsabilità delle stragi, mostrando una presunta cerimonia di giuramento dei terroristi suicidi in cui Zahran è l‘unico a volto scoperto.
Il dibattito interno è aperto e l’accertamento delle responsabilità è centrale anche nelle sessioni parlamentari di questi giorni, ma difficilmente potranno esserci frutti in tempi brevi, data la difficoltà delle indagini in un Paese peraltro ancora sotto stretta sorveglianza per il timore di nuove azioni terroristiche, e la complessità della situazione srilankese, con contrastanti interessi, sensibilità e appartenenze trasversali alle diverse etnie e fedi. Il Paese guarda da tempo alle elezioni presidenziali di fine anno a cui seguiranno di poco quelle parlamentari e provinciali. Una preparazione che va polarizzando la popolazione, ancora una volta anche in base al all’appartenenza etnica e religiosa il cui ruolo è sempre stato essenziale nella vita pubblica ma la cui strumentalizzazione è alla base dei conflitti aperti o latenti dall’indipendenza dai britannici nel 1948.