Libertà violate, vescovi in carcere, rapporti tesi con il Vaticano: in Cina la situazione della Chiesa resta precaria. Eppure crescono i cittadini, anche giovani, che riscoprono il valore della fede. L’analisi di padre Angelo Lazzarotto, missionario del Pime, grande conoscitore del cattolicesimo cinese
«C’è bisogno di un miracolo: e noi crediamo nei miracoli». Lo afferma il sacerdote cinese Paul Han in uno sfogo rilanciato dal sito Vatican Insider. Il 24 maggio sarà un’occasione speciale per chiedere questo miracolo in Cina, con l’aiuto della Madonna di Sheshan. Del santuario dedicato alla Vergine Maria Aiuto dei cristiani, sulla collina di Sheshan presso Shanghai, Benedetto XVI fece il punto d’incontro ideale di tutto il mondo cattolico per sostenere i fratelli della Chiesa cinese (lo fece nella Lettera indirizzata ai fedeli cinesi il 27 maggio 2007). E quest’anno se ne sente l’urgente bisogno.
L’allarme è risuonato lo scorso 15 gennaio a Pechino, quando Wang Zuo’an, membro del Comitato permanente del Partito comunista cinese (Pcc) e direttore dell’Amministrazione statale delle attività religiose (nota con l’acronimo
Sara), ha annunciato per il 2015 un intenso «piano di lavoro» sulle religioni. Wang non è entrato nei dettagli, ma il rapporto del 2014 indicava tra le priorità per i cattolici un rinnovato impegno per eleggere i vescovi in modo «democratico
».
Lo strumento escogitato dal governo comunista già negli anni Cinquanta del secolo scorso per controllare la Chiesa è l’Associazione patriottica dei cattolici. Il Congresso nazionale dei rappresentanti cattolici è stato poi elevato a supremo organo ecclesiale, con autorità anche sull’assemblea dei vescovi. In tal modo si pretende di giustificare nomine e ordinazioni episcopali fatte in Cina anche senza l’approvazione del Papa. Si tratta ovviamente di strutture estranee alla natura della Chiesa, come ha affermato Benedetto XVI nella citata Lettera pastorale (al n. 7). Quando nel 2010 fu convocato l’8° Congresso nazionale, il Vaticano espresse dispiacere e disapprovazione, raccomandando a clero e fedeli di disertarlo. Purtroppo, molti furono costretti a partecipare, anche con l’intervento della polizia. Qualche vescovo accettò poi di farsi ordinare contro l’indicazione pontificia (a partire da Guo Jincai di Chengde) e questo provocò la dichiarazione di scomunica, determinando uno scontro frontale che dura ancora.
Anche quando nella prima metà del 2012 si ebbe l’ordinazione di un paio di vescovi con l’approvazione sia di Roma che di Pechino, le autorità cinesi non hanno mancato di imporre la presenza di prelati illegittimi alla liturgia. C’è stata
poi, il 7 luglio 2012, la solenne ordinazione del vescovo ausiliare di Shanghai, Taddeo Ma Daqin, approvato dal Vaticano e dalle strutture ufficiali. Ma quando, alla conclusione della cerimonia, il neo vescovo pubblicamente dichiarò
di voler lasciare ogni impegno nell’Associazione patriottica e nelle strutture governative per dedicarsi solo al suo ministero pastorale, la reazione delle autorità fu dura. Monsignor Taddeo, prelevato dalla polizia, è tuttora tenuto
segregato ai piedi della collina di Sheshan senza contatti con l’esterno. L’anziano vescovo Aloysius Jin Luxian, s.j., dovette continuare a reggere l’importante Chiesa di Shanghai fino alla morte, il 27 aprile 2013 (a 96 anni !). E
nessuno gli è ancora succeduto.
VICENDE DRAMMATICHE giustificate dall’ideologia marxista su cui Mao Zedong fondò la Repubblica Popolare. Comunque, oggi i cinesi godono di una notevole libertà religiosa, garantita dall’art. 36 della Costituzione approvata
nel 1982. Nel frattempo, la spinta di Deng Xiaoping alla modernizzazione ha trasformato il Paese in una potenza economica mondiale, in cui prosperano migliaia di imprenditori preoccupati di espandere il proprio patrimonio.
La corruzione dilagante mette a rischio la credibilità dello Stato, perché lo stesso Partito comunista è visto da molti come un’opportunità di crescita e potere più che come ideale di servizio al popolo. L’attuale presidente Xi
Jinping, eletto nel 2012 dal 18° Congresso del Partito, ha fatto della lotta alla corruzione il suo impegno fondamentale, e lo sta attuando con decisione.
In questo difficile contesto, non sono pochi i cittadini cinesi, anche giovani, che riscoprono il valore della religione e in particolare del cristianesimo: sebbene non esistano statistiche, studiosi attendibili ritengono che nel Paese ci siano oggi circa 12 milioni di cattolici. Per i protestanti si parla addirittura di varie decine di milioni di aderenti, contando sia le strutture ufficiali che le cosiddette “Chiese domestiche”. E questo fa ombra a chi non ammette alternative alla
supremazia del Partito sui 1.300 milioni di cinesi.
A maggio 2011 il Comitato centrale del Pcc distribuì in tutto il Paese un documento riservato (n. 18) elaborato dal Dipartimento del Fronte unito, con la collaborazione di ministero dell’Educazione, Sara, strutture centrali preposte
alla sicurezza, ecc. Si tratta di otto fitte pagine di “Suggerimenti” per impedire che forze straniere possano infiltrare gli istituti di educazione superiore utilizzando la religione e favorendo l’evangelizzazione. Difficile valutare l’impatto
di queste norme sulla vita degli istituti universitari. Anche la periodica denuncia di membri del Partito che aderiscono a una religione o partecipano a cerimonie religiose – cose proibite dallo statuto – evidenzia che l’influsso delle religioni è notevole nonostante tutto. La rimozione di 400 croci e la distruzione di 35 chiese (protestanti e cattoliche) lo scorso anno nella provincia costiera dello Zhejiang, e specie nella prospera zona di Wenzhou, furono giustificate
con esigenze di piano regolatore; ma c’entra forse anche la reazione alla forte visibilità di quei monumenti cristiani.
Il governo considera fuori legge e perseguibili i luoghi di culto e le comunità religiose non riconosciute dalle strutture ufficiali. Così le strutture di Sara e delle associazioni patriottiche controllano capillarmente la pratica religiosa, traendone notevoli vantaggi anche economici, che non sembrano disposte a perdere. È dunque motivato il recente suggerimento dell’agenzia del Pime AsiaNews: «Un lavoro per Xi Jinping: attuare la campagna anti-corruzione verso il
ministero degli Affari religiosi e l’Associazione patriottica, arricchitisi in questi decenni alle spalle dei cristiani».
NON POCHI cattolici continuano intanto a pagare la fedeltà al Papa e l’integrità della fede con lunghi anni di carcere e lavoro forzato. È sconfortante che a tutt’oggi la comunità di Yixian (Hebei) e la famiglia del vescovo Cosmas
Shi Enxiang non abbiano ancora potuto dare sepoltura all’eroico vescovo, detenuto fin dal 2001. In questa situazione, c’è speranza che si trovi un accordo tra la Santa Sede e il governo di Pechino? Accanto a voci (anche autorevoli) che esprimono sfiducia, è sintomatico che proprio dei vescovi non riconosciuti dalle autorità abbiano recentemente rinnovato l’appello a insistere sulla via del dialogo per una ragionevole intesa. E il cardinale Pietro Parolin ha affermato che con la Cina «sono in corso dei contatti…, siamo in attesa di sviluppi… Un dialogo potrebbe offrire benefici enormi alla pace mondiale». Ai cattolici cinesi non mancano motivi per chiedere il “miracolo”.