Avvocato e attivista per i diritti umani, di umili origini, il presidente – che ha visto il suo partito raccogliere un voto quasi plebiscitario alle lezioni parlamentari – è stato premiato per lo stile ma anche per le idee che si discostano da quelle tradizionali dell’establishment economico sudcoreano che ha a lungo controllato la vita del Paese
Aveva vinto con un vantaggio incolmabile sugli avversari la carica presidenziale il 9 maggio 2017. E i risultati delle elezioni parlamentari del 15 aprile hanno confermato in modo quasi plebiscitario la leadership di Moon Jae-in su una Corea che sta contrastando con successo la pandemia e insieme cerca di affrontare le sue difficoltà e contraddizioni.
Cattolico, 67enne, avvocato e attivista per i diritti umani, di umili origini, Moon Jae-in è sempre stato un outsider della politica e forse per questo, per lo stile ma anche per le idee che si discostano da quelle tradizionali dell’establishment sudcoreano, ha saputo raccogliere e mantenere il consenso che gli elettori hanno di nuovo garantito alla sua amministrazione e al suo partito.
Il Partito democratico unito – centrale nello schieramento di sinistra moderata che associa il Partito della piattaforma – in una consultazione che ha visto una partecipazione record superiore al 66 per cento, nonostante le difficoltà imposte dal controllo del contagio, ha raccolto 180 seggi su 300 complessivi contro i 128 seggi che prima deteneva nell’Assemblea nazionale, il parlamento unicamerale. Solo 103 i seggi andati al conservatore Partito per il futuro unito e al suo alleato già all’opposizione.
Moon – la cui popolarità dopo una fase iniziale di difficoltà ad affrontare la pandemia è risalita nelle scorse settimane davanti ai risultati positivi del contenimento della diffusione del coronavirus e al ridotto numero di vittime – potrà ora contare su una maggioranza più che sufficiente a fronteggiare non solo le necessità di governo e le emergenze in corso, ma anche indirizzare l’elettorato verso le elezioni presidenziali del 2022. La nuova situazione parlamentare consentirà al futuro governo di proseguire con pochi ostacoli nel programma liberista moderato indicato da Moon, con attenzione alle difficoltà della società, perseguendo la riforma del sistema amministrativo e giudiziario e la fine della dipendenza dal nucleare.
Figlio di profughi nordcoreani fuggiti al Sud durante la guerra fratricida del 1950-53, Moon è stato fautore di una politica dai due volti verso la Corea del Nord: fermezza davanti alle pressioni del regime di Pyongyang sotto forma di lanci missilistici, massicce esercitazioni belliche e un programma nucleare che non dà segni di arretramento; ma allo stesso tempo perseguimento del dialogo per arrivare a un allentamento, alla ripresa del dialogo a Sei (Coree, Usa, Cina, Russia e Giappone) e alla firma di un trattato di pace che sigli definitivamente la fine della sanguinosa guerra intercoreana (1950-1953).
Sul piano interno, Moon ha cercato di ricompattare il Paese e di rilanciarne le certezze e il ruolo dopo la crisi politica e morale culminata con l’impeachment e poi con l’incriminazione e condanna del precedente inquilino della “Casa Blu”, la dimora presidenziale. La signora Park Geun-hye è stata incarcerata per corruzione, interesse privato e divulgazione di segreti di Stato a beneficio dei grandi conglomerati che per lungo tempo hanno controllato la vita del Paese indirizzandone le scelte politiche. Tuttavia, giustizia, trasparenza e azione sono ancora richiesti davanti alle emergenze sociali che coinvolgono sia i gruppi meno favoriti, sempre a rischio di emarginazione, sia la classe media preoccupata della stagnazione economica, del costo della vita e della crescente mancanza di prospettive occupazionali.
Sul piano internazionale, la rinnovata fiducia all’amministrazione Moon potrà rafforzare la ricerca di un ruolo maggiore per Seul nel teatro estremo-orientale che passa da un rapporto meno vincolante con Washington e da una politica più autonoma e aperta nei confronti di Pechino e di Tokyo.