La denuncia del premio Nobel per la pace Kailash Sathyarti, che si batte per i diritti dei bambini in India: la pandemia ha già portato a raddoppiare l’abbandono della scuola dell’obbligo. Migliaia di adolescenti e bambini costretti ad abbandonare gli studi già precari per sostenere le famiglie con l’impiego in attività precarie e spesso pericolose
L’epidemia di Covid-19 si espande in India, anche se con un numero di decessi che cresce in proporzione assai minore riaspetto ai contagi. Se questi ultimi potrebbero infatti superare entro il mese quelli degli Stati Uniti, ora attorno a 7,7 milioni, le morti sono ancora intorno alla metà.
Numeri comunque relativi se si tiene conto dell’immensità della popolazione di 1,35 miliardi di persone e alla vastità e diversità di una nazione dove molte aree sono pressoché libere dal contagio, che invece colpisce pesantemente le principali aree urbane e soprattutto, al loro interno, le zone dove si concentra la popolazione meno fortunata. Aree cittadine che contano quindi anche il maggior numero di vittime in proporzione alla popolazione, ma a cui si associano in modo crescente anche aree rurali dove il contagio è spesso veicolato da migranti di ritorno.
A fare le spese sul piano occupazionale ed economico è stata anzitutto una parte consistente dei 250 milioni di dalit, tribali e aborigeni, ma anche numerosi gruppi professionali sono stati particolarmente colpiti dalla crisi in corso. Ancora una volta a pagare maggiormente sono i più deboli: donne e – soprattutto – adolescenti e bambini, costretti ad abbandonare gli studi già precari per sostenere le proprie famiglie con l’impiego in attività precarie e spesso pericolose. Si calcola che la pandemia abbia già portato in India a raddoppiare l’abbandono della scuola dell’obbligo (6-17 anni) che nel 2018 interessava già 32 milioni di studenti.
Il movimento Bachpan Bachao Andolan (Movimento per la salvezza dei bambini), fondato nel 1980 dal Premio Nobel per la Pace Kailash Sathyarti, stima che siano oltre 10 milioni i minori tra i cinque e i 14 anni al momento impiegati in fattorie e manifatture, nei ristoranti o in altre occupazioni di basso livello. Con un numero più elevato del solito, ma soprattutto sottoposti a maggiore sfruttamento e precarietà.
Per la legge indiana, l’età minima per entrare nel mondo del lavoro è 14 anni e da questa età fino ai 18 anni è proibito accedere ad attività che mettano a rischio la salute o siano in qualche modo degradanti. Tuttavia nessuno ignora la facilità con cui la legge viene aggirata e anche che quanto i datori di lavoro finiscono sotto inchiesta e sono magari anche rinviati a giudizio per sfruttamento, aggressione o traffico di minori, le condanne sono comunque poche. La stessa organizzazione di Sathyarthi, che ha comunicato di avere salvato almeno 1.200 bambini-lavoratori negli ultimi mesi, sottolinea come molti di più siano finiti sul mercato del lavoro illegale, dove per la loro manualità, fragilità e senso del dovere verso le famiglie sono disposti a lavorare per orari più lunghi e compensi inferiori a quelli dei genitori.
Le iniziative di sostegno economico e la fornitura di generi indispensabili – secondo i piani iniziali del governo – a 800 milioni di indiani si sono rivelate altamente insufficienti. Semplicemente, il Paese non ha le risorse sufficienti a garantire l’essenziale per un tempo prolungato a una platea tanto vasta di bisognosi, ancor più perché una parte consistente della popolazione sopravvive grazie al settore informale, che sfugge a controlli e statistiche e soprattutto paga più pesantemente durante le crisi. L’India rischia una regressione ventennale nei suoi piani di sviluppo: ha mostrato in questo caso la fragilità dei suoi sistemi di protezione sanitaria e del suo welfare, la scarsità di risorse ma anche di programmazione. Ad esempio le autorità hanno sottovalutato o forse volutamente ignorato gli effetti che i due mesi di lockdown da fine marzo a maggio avrebbero avuto su decine di milioni di migranti interni lasciati senza risorse a convivere con la popolazione residente nelle aree più povere delle città, senza distanziamento, controlli e servizi igienico-sanitari adeguati, prima di diventare, con le riaperture parziali, i principali diffusori del nuovo coronavirus nei luoghi di provenienza.
Foto: Flickr / Preshit Deorukhkar