Nel tempio della città meridionale di Coimbatore sono stati eretti appositi simulacri di “Corona Devi” (la dea del Coronavirus), dal 21 maggio proposti alla devozione. Che però avviene attraverso intermediari, perché le norme per la prevenzione del contagio impediscono il libero accesso ai templi indù
Nella millenaria tradizione induista, che si è andata diversificandosi in costante adesione con il mutare delle condizioni storiche, culturali e ambientali, non è una novità assoluta. Tuttavia la nascita in diverse aree del Paese di un culto specifico di divinità elette a numi tutelari della pandemia, indica come la devozione popolare persista in diverse espressioni e aree nonostante l’evoluzione in corso nella società e trovi nelle crisi modo di ravvivarsi.
La seconda ondata della pandemia ha attraversato nel mese di maggio l’India con la forza di uno tsunami, aggiungendo in quattro settimane milioni di contagi e almeno 100mila morti a un bilancio già pesante e – ammettono gli esperti in in parte le autorità – sottostimato dati un territorio immenso e una popolazione di quasi 1,4 miliardi spesso spinta ai margini dei servizi essenziali e dell’attenzione mediatica.
Ora il picco sembra superato, ma i tanti limiti del sistema di prevenzione e cura, come pure le diverse possibilità di accedervi in tempi brevi consigliano ancora a tanti indù di cercare un supplemento di protezione dal Covid-19 tornando alla loro fede o aggiornandola.
“Stiamo rendendo omaggio al virus sotto forma di una divinità femminile e la preghiamo ogni giorno perché riduca l’impatto della malattia. Se nemmeno i medici sono in grado di affrontare l’enormità della situazione, si rivolgiamo al Divino come ultima spiaggia”. Una posizione sicuramente condivisa, quella di Anand Bharathi, capo officiante del tempio della città meridionale di Coimbatore, dove sono stati eretti appositi simulacri di “Corona Devi” (la dea del Coronavirus), dal 21 maggio proposti alla devozione che avviene però attraverso degli intermediari.
La situazione di diffusione del contagio in cui si trova ancora la città, infatti, non consente l’accesso ai fedeli al tempio Kamatchipuri Adhinam, e sono gli officianti a render omaggio alle due statue, una di legno e l’altra di pietra alte circa mezzo metro, con offerte di cibo e fiori, con preghiere e lavacri di acqua mescolata a curcuma e di latte. La direzione del tempio ha segnalato di avere organizzato speciali riti per 48 giorni per favorire l’arretramento del contagio nello stato del Tamil Nadu dove si trova Coimbatore, sede di templi tra i più rappresentativi della tradizione dell’India meridionale. Uno stato che è però tra i più colpiti dall’epidemia di Covid-19, con quasi due milioni di casi e 20mila decessi contro, rispettivamente, i quasi 38 milioni e oltre 340mila per l’intera India.
Pratiche di culto non dissimili da quelle destinate a contenere altre epidemie o pestilenze nel corso della storia indiana. Alcune, come quella di cui è diventata oggetto Shitala Devi – “dea del vaiolo” individuata come manifestazione di Parvati, la controparte femminile del dio Shiva – al centro di devozioni e celebrazioni molto seguite.