Da oggi ha ufficialmente raccolto dalla madre Sonia il testimone alla guida del Partito del Congresso. Che spera con lui di riguadagnare posizioni rispetto al nazionalismo indù di Narendra Modi
Con il cambio della guardia alla presidenza – che avviene oggi – il Partito del Congresso, storicamente centrale nell’indipendenza dai britannici e nel governo dell’India indipendente dal 1947, punta a una nuova fase. Lo fa però appoggiandosi ancora una volta alla dinastia che non solo ne ha identificato il ruolo finora, ma ne ha segnato anche fortune e cadute: i Gandhi.
Dopo l’annuncio della sua candidatura il 5 dicembre e l’approvazione formale del partito l’11, da oggi il quarantasettenne Rahul Gandhi subentra alla guida del Congresso alla madre Sonia Gandhi, nata Maino, piemontese di origine e cattolica di fede (non espressa) ma pienamente naturalizzata indiana. Una mossa storica, quella della successione del figlio alla madre settantenne, che va nel senso della continuità dinastica che ha avuto precedenti in Rajiv Gandhi (ex premier, marito di Sonia, ucciso in un attentato nel 1991), Indira Gandhi (premier quasi ininterrottamente dal 1966 fino all’assassinio nel 1984) e il padre di lei, il primo capo di governo dell’India indipendente, Jawaharlal Nehru.
L’ascesa di Rahul assume varie connotazioni, inclusa quella di un ritorno – dopo una leadership di Sonia durata quasi un ventennio – a una piena “legittimità” indiana e induista della guida di un partito che ha come immediato avversario da tre anni alla guida del paese il filo-induista Bharatiya Janata Party; una forza politica che non nasconde la volontà di fare dell’India un Paese non solo sensibile alle necessità o velleità della maggioranza indù, ma anche identificato con la tradizione induista, con altre espressioni religiose e gruppi sociali non integrati o integrabili relegati in un ruolo subalterno.
Interessante – ma forse non casuale – che l’avvicendamento al vertice del partito sia avvenuto durante un’importante tornata elettorale in Gujarat, lo Stato del primo ministro Narendra Modi e da un ventennio dominato dal suo Bharatiya Janata Party, nazionalista e filo induista. Un indebolimento del Bjp possibile ma non ancora confermato dai risultati definitivi e un Congresso aperto a prospettive di rilancio potrebbero segnare una svolta nella politica nazionale, dove il Congresso, al vertice per quasi tutto il tempo post-indipendenza, è stato sconfitto pesantemente a livello nazionale nel maggio 2014 e da allora ha subito una serie di rovesci elettorali in molti Stati e Territori del Paese.
“Compassione, umiltà e determinazione sono solo alcune delle qualità che fanno di Rahul Gandhi un leader ideale”, ha segnalato un tweet del partito dopo la sua designazione. Sicuramente un riconoscimento in cui un ruolo di primo piano ha avuto Manmohan Singh, ultimo primo ministro del partito prima della sconfitta a opera dei nazionalisti e che mantiene una grande influenza. Sicuramente un buon supporto interno per chi – da molti anni in condizioni di apprendistato politico e ancor più di formazione di carattere – è chiamato a “proseguire le grandi tradizioni del Partito del Congresso” ma ancor più deve trovargli motivazioni e metodi in grado di riportarlo alla vittoria.