Fa discutere una sentenza della Corte suprema indiana che – ribaltando un verdetto dell’Alta Corte del Gujarat – estende anche alle caste elevate le quote garantite ai gruppi svantaggiati per l’accesso all’istruzione. Ennesimo esempio dell’incredibile capacità del sistema castale di riprodursi e di riprodurre la sua necessità.
La decisione della Corte suprema indiana di accogliere la richiesta avanzata dal governo dello Stato nord-occidentale del Gujarat di annullamento di una sentenza dell’Alta corte locale riguardo l’assegnazione di posti garantiti nelle aule scolastiche per appartenenti a caste elevate, è storica al di là del contesto da cui è nata.
Il 4 agosto il massimo tribunale del Gujarat aveva dichiarato illegittima l’ordinanza con cui l’esecutivo locale a guida nazionalista e filo-induista guidato dalla signora Anandiben Patel – erede dell’esperienza politica dell’attuale primo ministro indiano Narendra Modi – aveva deciso di riservare il 10 per cento delle iscrizioni scolastiche per appartenenti a caste tradizionalmente considerate benestanti o comunque influenti. Una decisione facilmente leggibile nel senso di garantire privilegi a gruppi da cui esce la maggior parte della leadership del Bharatiya Janata Party al potere e dei suoi referenti nella galassia dell’induismo militante, ma che appare anche coerente con la situazione attuale che vede, in questo Stato e non solo, le alte caste in arretramento sul piano sociale e soprattutto economico in un contesto che da tempo non è più lo stesso che aveva loro garantito nei secoli benessere e privilegi. Anzi, proprio la modernizzazione, i nuovi stili di vita e una costante laicizzazione ne hanno di fatto reso inutili i servigi che ne giustificavano i privilegi.
L’India moderna subisce la sua eredità castale che ha trovato nei secoli un’incredibile capacità di riprodursi e di riprodurre la sua necessità. Al punto da non essere cancellata dalle dominazioni straniere e di affiancarsi a concezioni socio-religiose d’importazione. Le caste, centinaia, negate dal dominio europeo prima e dalla Costituzione del 1950 poi, rappresentano una delle ambiguità più forti dell’India indipendente. L’articolo 15 della Costituzione proibisce ogni discriminazione basata su religione, razza, casta, sesso, luogo d’origine, mentre l’art. 16 stabilisce pari opportunità tra tutti i cittadini rispetto agli impieghi pubblici. Come conseguenza, la legge ha garantito a una complessa serie di gruppi variamente sfavoriti dalla tradizione o dalla propria condizione socio-economica possibilità (per molti privilegi) di accesso garantito in varia misura a impieghi pubblici, scuole, università, servizi socio-sanitari .
Da tempo, anche cristiani e musulmani di origine dalit (ex “intoccabili”, ovvero di bassa casta o fuoricasta nel sistema induista) chiedono – inutilmente – che a loro siano estesi i privilegi previsti per i dalit indù o di fedi minoritarie derivate dall’induismo. La decisione del governo del Gujarat, quindi, avrebbe anzitutto come conseguenza di frammentare ulteriormente le possibilità offerte (sul piano educativo nel caso specifico) ai meno privilegiati e su questo assunto ha deliberato l’Alta corte del Gujarat.
La decisione della Corte suprema, il 9 settembre, ha invece tenuto conto delle reali condizioni di arretratezza di diversi gruppi su base territoriale all’interno delle caste più elevate. Reazione sfavorevole alla sentenza di quest’ultima sono giunte anche dalla Conferenza episcopale cattolica, il cui segretario della Commissione per i dalit e i popoli indigeni, padre Z. Devasagayaraj, ha indicato come la decisione vada contro il miglioramento delle condizioni di settori sfavoriti della società. «Il sistema di quote è a tutela dei più deboli, degli emarginati, ma chi è di alta casta non è emarginato sociale, ha una posizione nella società», ha commentato padre Devasagayaraj.