Parla il vescovo di Ende, Budi Kleden, alla vigilia dell’arrivo di Papa Francesco partito oggi per Giacarta: «La mia grande speranza è che la realtà indonesiana di arricchimento reciproco delle comunità religiose sia un esempio e un’ispirazione per il mondo».
AsiaNews – Ha iniziato il suo ministero di arcivescovo da pochi giorni. Dopo essere stato il secondo asiatico a guidare per sei anni i verbiti, la congregazione missionaria fondata nel 1875 in Germania da padre Arnold Janssen, una delle più presenti in Asia e che oggi conta moltissime vocazioni in Indonesia. Papa Francesco nel maggio scorso ha scelto padre Paulus Budi Kleden per guidare l’arcidiocesi di Ende, la metropolia dell’isola di Flores, il cuore del cattolicesimo indonesiano. Cinquantotto anni, originario della zona rurale di Larantuka, nella stessa Flores, sacerdote dal 1993, monsignor Budi Kleden ha insegnato teologia fondamentale a lungo al Ledalero, il grande seminario di quest’isola, prima di ricoprire dal 2018 e fino al luglio scorso l’incarico di superiore generale dei verbiti. Il 22 agosto a Ende è stato ordinato vescovo, scegliendo come motto «Perseverate nell’amore fraterno», il versetto che apre il capitolo 13 della lettera agli Ebrei. Ed è con lui che AsiaNews – alla vigilia ormai della partenza di Papa Francesco per l’Indonesia – riflette sul significato di questo viaggio per questo grande Paese dell’Asia e per il mondo intero.
Monsignor Budi, che cosa si aspetta dalla visita di Papa Francesco a Giacarta?
«Innanzitutto che rafforzi i cattolici in Indonesia nella loro identità di credenti e nel loro contributo alla nazione. Anche se in numero ridotto, i cattolici indonesiani hanno svolto un ruolo chiave nello sviluppo del Paese. Questo ruolo deve essere rafforzato e continuato. In secondo luogo, che promuova il dialogo interreligioso in Indonesia. Che aiuti gli indonesiani di altre religioni a capire che la Chiesa cattolica si prende cura dei problemi dell’umanità nel suo complesso ed è aperta a collaborare con gli altri per affrontare le sfide. In terzo luogo, che incoraggi il governo indonesiano nel suo compito di servire gli indonesiani, aiutandoli a convivere pacificamente con le differenze, comprese quelle religiose, che esistono tra di loro, per vedere queste differenze come una ricchezza che ci aiuta a crescere. Infine, spero che dopo questa visita il governo indonesiano renda più facile ai missionari cattolici di altri Paesi l’ingresso per venire a lavorare in Indonesia».
Durante questa visita, pensa che l’esperienza dell’Indonesia possa offrire al mondo intero un esempio di dialogo tra cristiani e musulmani?
«La mia grande speranza è proprio questa: che la realtà indonesiana di arricchimento reciproco delle comunità religiose sia un esempio e un’ispirazione per il mondo. La gente dovrebbe vederlo. Io stesso sono stato molto orgoglioso e allo stesso tempo ispirato dalla partecipazione dei miei fratelli e sorelle musulmani e di altre religioni alla mia ordinazione episcopale come in tante altre occasioni della vita delle nostre comunità qui. È anche un appello a tutti gli indonesiani a salvaguardare questo modo di vivere e di lavorare insieme».
Nell’omelia dell’inizio del suo ministero come arcivescovo di Ende ha sottolineato la necessità di difendere l’“armonia sociale” nella società indonesiana: che cosa la mette maggiormente a rischio oggi?
«Sì, ho detto queste parole. L’armonia sociale, ad esempio, oggi è messa in pericolo da alcuni politici che sfruttano le questioni religiose o l’identità religiosa per ottenere voti. Anche l’insensibilità alla costruzione di edifici religiosi dove ci sono solo pochi fedeli di quella religione è un altro fattore. Come pure quello economico: quando gli abitanti di un luogo che sono credenti di una religione vedono che i loro vicini di altre religioni ricevono maggiori privilegi e sostegno per avviare e gestire le proprie attività, si creano tensioni».
In base alla sua precedente esperienza come superiore generale dei verbiti, come vede il contributo dei missionari indonesiani alla Chiesa globale oggi?
«Come cattolici indonesiani possiamo essere orgogliosi di essere diventati un Paese di invio missionario, dopo che per decenni siamo stati solo un Paese di accoglienza. Guardando anche solo ai verbiti ci sono più di 500 missionari indonesiani che svolgono il loro ministero in 50 Paesi diversi nel mondo. I missionari indonesiani si caratterizzano per la loro semplicità e disponibilità a lavorare anche nei luoghi più remoti. La loro esperienza di convivenza con altre religioni, in particolare con i musulmani, è un contributo molto utile per le altre Chiese locali».
(ha collaborato Mathias Hariyadi, foto di Hanafi Jo)