Da Dhaka padre Franco Cagnasso nel suo blog “Schegge di Bengala” riflette su un tema che accomuna tanti istituti impegnati nelle frontiere missionarie. Le società locali cercano sempre di più dai missionari standard elevati di istruzione. Ma questo non può avvenire a scapito dell’impegno a portare sui banchi anche gli ultimi
L’impegno dei missionari del PIME per la scolarizzazione dei poveri in Bangladesh risale ai primissimi, arrivati nel 1855. Operavano a partire da Krishnanagar, nel sud del Bengala centrale (oggi parte dell’India), e quando il PIME gradualmente si spostò a nord, per evangelizzare gli aborigeni, il metodo non cambiò, e si moltiplicarono anche gli ostelli, che permettevano a bambini e bambine di andare alla scuola della missione anche se abitavano in villaggi lontani. Non era facile persuadere i genitori a mandare i figli a scuola, anziché a pascolare gli animali o raccogliere legna. P. Viganò mi raccontava che, da giovane, subito dopo l’apertura mattutina della scuola girava in bicicletta a “caccia” di bambini che volontariamente, o per decisione dei genitori, andavano nei campi, o a pescare negli stagni.
Nel corso degli anni si avviarono molte scuole, almeno fino alla quinta elementare, ma parecchie fino alla classe decima, quando c’era l’esame statale (il nostro “esame di maturità”), una meta allora raggiunta da pochi. Alla fine degli anni ’70, il direttore della scuola parrocchiale di Mathurapur era “metric failed”, cioè era arrivato all’esame di maturità ma non era riuscito a superarlo… tuttavia era autorevole, e se la cavava bene.
Si identificò così l’impegno per le scuole – che assorbiva energie e risorse – con l’impegno per i poveri. Grazie agli aiuti che ricevevano dai cristiani dei Paesi benestanti (Italia anzitutto, poi anche USA) le scuole e gli ostelli dei missionari erano economiche e per molti del tutto gratuite, e davano ai poveri la possibilità di frequentarle.
Quando visitai brevemente la Thailandia, nel 1983, rimasi sorpreso nel sentire che le scuole in quel Paese costituivano una fonte di guadagno, almeno nelle zone di popolazione tailandese. A Phrae, mi disse p. Bordignon, la piccola parrocchia sembrava un’appendice delle ampie scuole, una gestita da Suore e l’altra da Fratelli, che erano ben conosciute in città nonostante il numero di cristiani fosse molto basso.
Oggi forse ci stiamo avvicinando ad una situazione analoga, anche in Bangladesh. Motivi? Grazie alla scolarizzazione a livello elementare e medio, il numero di giovani che può accedere a studi superiori è cresciuto, e così il desiderio di farlo. A queste esigenze, diocesi e istituti religiosi rispondono con la costruzione di “College”, cioè scuole di livello universitario. Presenti già in aree dove i cristiani sono in maggioranza bengalesi, i cristiani aborigeni chiedono che anche nelle loro zone si investa in College “cristiani”. Alle poche prestigiose scuole cattoliche di Dhaka e Chattogram, fondate ormai tanti anni fa dai Missionari della Santa Croce con i loro tre rami indipendenti (Suore, Fratelli, Padri) se ne stanno aggiungendo altre in altri luoghi, tutte di buon livello, e stimate.
Ma ovviamente occorrono insegnanti qualificati, e le spese sono alte. Non solo, ma diminuendo i missionari esteri e passandole responsabilità a suore, fratelli e preti locali, il flusso di offerte dall’estero diminuisce. Di conseguenza, anche le scuole elementari e medie diventano costose da gestire, e la loro fama di scuole per i poveri, va scomparendo. “Caso” tipico è la St. Philip’s School” di Dinajpur con l’omonimo ostello. Erano ottime, e molti benestanti vi mandavano i loro figli, ma i poveri non paganti, o che davano piccoli contributi erano la maggioranza. Poi la scuola è stata affidata alla Diocesi, che a sua volta l’ha affidata ai Fratelli della Santa Croce, i quali l’hanno ampliata e migliorata notevolmente, ma ovviamente aumentando le tariffe a livelli inaccessibili per molti. Inoltre, i Fratelli stanno avviando scuole dello stesso tipo in diversi posti. Noi del PIME in genere ci troviamo a disagio con questi cambiamenti, e magari brontoliamo e critichiamo. Però il problema esiste: senza donazioni sufficienti, specie per scuole di livello superiore, e senza aiuti dal governo, dove prendere le risorse?
Suore, Fratelli e Padri della Santa Croce, e di altri istituti, tengono tariffe alte, ma spesso offrono lezioni gratuite, in altro orario, per studenti che non ce la fanno ad accedere ai corsi regolari. Prima e seconda categoria? Loro sostengono di no: gli insegnanti sono gli stessi e sono competenti.
La nostra risposta è diversa, anche perché come istituto non siamo specializzati nelle scuole e nell’insegnamento: ci siamo tuffati in quel settore come risposta ai bisogni dei poveri, che vedevamo immediati e importanti, ma non sentiamo il bisogno di avere le “nostre” scuole, e ci sono per noi anche altre vie per esprimere la nostra testimonianza missionaria. Tuttavia non ci disinteressiamo. Recentemente abbiamo introdotto il sistema delle “Borse di studio”, mentre proseguiamo con le così dette “adozioni”, o “sostegni” a distanza, finanziate da donatori in Italia e negli Stati Uniti. Integrano i contributi chiesti agli studenti, e permettono di tenere basse le tariffe. Venivano gestite da noi a livello parrocchiale, ora per il clero locale ci sono uffici diocesani a Rajshahi e a Dinajpur dove ci si prende cura di tutte le adozioni della diocesi, sollevando i parroci da un compito impegnativo, che a volte viene trascurato. Abbiamo un sistema analogo a Dhaka, solo per le missioni che abbiamo avviato e poi passato all’arcidiocesi. Funziona, ma in certi casi sembra non bastare per scuole parrocchiali gestite da preti diocesani o da suore locali. E quando giunge notizia che in una missione alcuni bimbi di famiglie povere non ce la fanno ad andare a scuola, o non sono accolti nell’ostello, si sta davvero male.
Pienamente d’accordo che scuole ben qualificate, anche se costose, offrono un rilevante contributo ad avviare e mantenere rapporti con la società nel suo insieme, includendo musulmani e hindu, classi medie, benestanti e ricche. L’influsso positivo della presenza a Dhaka di due prestigiosi “College”, “Notre Dame” per i giovani, e ”Holy Cross” per le ragazze, emerge spesso incontrando persone che hanno nella società bengalese posizioni di responsabilità: sono riconoscenti per quanto hanno ricevuto, non solo sul piano scolastico, ma per l’educazione in genere, in senso ampio, che include senso del dovere, serietà professionale, apertura mentale e a persone di religione diversa, generosità e affidabilità, attenzione ai problemi sociali, ecc. Ma non vorrei che fra qualche anno si identificasse la scuola cattolica come scuola solo dei ricchi.