Il k-pop, genere musicale originario della Corea del Sud di tendenza in mezzo mondo, ha superato anche il confine invalicabile col nord del Paese e vedrà la sua apoteosi nelle ormai imminenti Olimpiadi invernali di Pyeongchang. Mentre l’hallyu wave – l’onda coeana – si affaccia anche in Italia
Kim Jong-un ha una passione che è più segreta del suo arsenale nucleare: il k-pop. Dopo aver sfondato nei mercati musicali di tutto il mondo, la musica popolare sudcoreana interpretata da boy e girl band è arrivata infatti alle orecchie del dittatore nordcoreano che si è talmente lasciato conquistare dal ritmo che insieme agli atleti, alle imminenti Olimpiadi invernali, dovrebbe mandare anche una delegazione del pop.
Qualche giorno fa, infatti, a Pyeongchang dove dal 9 febbraio si terranno le Olimpiadi invernali, è stata avvistata la cantante della «Moranbong band», unica girl band nordcoreana autorizzata dallo stesso Kim Jong-un a sperimentare il genere del pop nato in Corea del Sud. Questo fa pensare che nel comitato artistico che la Corea del Nord manderà ai Giochi Olimpici potrebbe finire anche la formazione musicale preferita da Kim Jong-un, che della Moranbong band non si perde un concerto.
Ma cos’è il k-pop? Melodico ma anche rap e ballata, il Korean Pop è un genere trasversale che fonde dance e hip pop in un ritmo che segue le tendenze musicali del momento a livello internazionale. Gli artisti che praticano il genere sorgono e tramontano molto velocemente, ma a reggere maggiormente il mercato sono i gruppi creati ad arte dalle agenzie d’intrattenimento (circostanza che suscita non poche critiche al settore). Le boy e girl band hanno il proprio stile e creano un marchio con gesti e abbigliamento che li rende riconoscibili e veri e propri idoli per milioni di ragazzini. Così le loro canzoni, sempre accompagnate da balletti per realizzare i quali i giovani artisti si esercitano anche 15 ore di seguito, piacciono agli adolescenti sudcoreani ma finiscono per essere orecchiabili anche per i quattordicenni di tutto il mondo.
Per farsi un’idea del successo del k-pop, i numeri non mancano. Dopo che nel 2012 PSY ha vinto gli MTV Europe Music Awards con la famosissima Gangnam Style, altre band k-pop hanno fatto il pieno di riproduzioni su iTunes e l’anno scorso la canzone “As If It’s Your Last” della girl band BlackPink ha battuto il record di visualizzazioni degli One Direction: 13 milioni dopo appena 24 ore dal lancio. L’ondata culturale coreana (la cosiddetta hallyu wave) dopo Cina e India è arrivata anche in Europa. Su Facebook, c’è anche un gruppo di appassionati italiani del genere che conta oltre 15mila iscritti, mentre le «k-pop night» sono eventi ospitati ormai dai locali più noti delle nostre città, come il Fabrique di Milano.
È a questo genere che s’è dunque ispirato Kim Jong-un nel 2012 selezionando dieci ragazze per suonare, cantare e ballare e nel frattempo mostrare apertura, accondiscendere alla generazione più giovane del Paese e stare al passo con il fermento culturale del sud. Peccato che mentre la Sud Corea esportava «Gangnam Style», un tormentone che ancora oggi è il secondo video più popolare su Youtube, le musiciste della Moranbong Band – pur in “moderni” tacchi alti e minigonne – suonavano canzoni patriottiche che inneggiavano al «dolce sorriso» di Kim oppure alla «migliore nazione del mondo» accompagnate dalle immagini di lanci missilistici sullo sfondo.
Mentre nel 2016 album e merchandising legato al k-pop hanno mosso 4,6 miliardi di dollari e la «K-pop Daebak», la playlist del genere più ascoltata su Spotify, conta 900mila seguaci, per farsi un’idea diretta del pop melodico del Nord è inutile cercare sulla libreria di musica più vasta al mondo visto che la Moranbong Band è tra i pochi artisti sconosciuti al programma.
Per la prima volta dunque ai Giochi olimpici le ragazze della «Moranbong band» hanno l’occasione di avvicinarsi (anche solo per motivi logistici) ai BTS, idoli sudcoreani che lo scorso novembre hanno vinto gli American Music Award a Los Angeles. Vederli calcare lo stesso palco sarebbe comunque un segnale di avvicinamento tra le due Coree anche se la differenza resta. E si sente.