AL DI LA’ DEL MEKONG
La Chiesa e le elezioni in Myanmar

La Chiesa e le elezioni in Myanmar

IL RACCONTO
Alla vigilia delle elezioni ho visto una “piccola via”, evangelica e feconda, che porterà i cristiani alla scelta giusta

 

Che cosa sta avvenendo in Myanmar in questa viglia delle elezioni generali previste per domani? C’è tensione in questo paese meraviglioso, scrigno d’oro e pietre preziose, così ricco, sopra e sotto la superficie che occupa, che ciò che si raccoglie nelle viscere della sua terra è sì ricchezza, ma anche maledizione. Tutti lo sanno: vincere le elezioni significa entrare in possesso delle chiavi di tale scrigno. Una recente indagine di Global Witness ha confermato quanto già era noto e cioè che a Hpakant, nello stato Kachin, sorge il più importante sito al mondo per l’estrazione della giada. Solo lo scorso anno, la giada estratta dalle miniere birmane ha generato un giro d’affari di 31 miliardi di dollari. Tali interessi, e molti altri, spiegano la vicenda politica del Paese da 50 anni a questa parte: a capo di tali commerci infatti, spesso troviamo membri dell’oligarchia militare al potere. È il caso del generale Than Shwe, ex padre-padrone del Paese dal 1992 al 2011, ma che ancora continua ad influenzarne le sorti. Nel solo biennio 2013-2014 le compagnie minerarie legate alla sua famiglia hanno guadagnato oltre 220 milioni di dollari.

Queste cifre spiegano inoltre perché la storia recente del Paese abbia registrato una sistematica censura e repressione di qualsiasi ipotesi di governo alternativa e riformista. E spiegano anche la politica che ha voluto le università disseminate in ogni angolo del Paese: “non per garantire un’adeguata istruzione di livello superiore, ma per sparpagliare i giovani e impedire loro di concentrarsi in strutture che diventerebbero difficili da controllare”, mi dice uno studente. Infatti, molti istituti universitari sono più simili a contenitori vuoti che a reali officine di pensiero. Ma poco importa, l’importante è dividere, framentare e controllare. Arrestare. È toccato al leader del movimento studentesco Kyaw Ko Ko, catturato il 29 ottobre e che andrà a far compagnia a molti altri studenti incarcerati per aver manifestato lo scorso marzo contro la nuova legge nazionale per l’educazione. Così i social network, che spesso costituiscono una buona rete per il dibattito politico, sono diventati lo spazio privilegiato per la censura e l’individuazione dei dissidenti.  Le elezioni dell’8 novembre saranno quindi decisive per l’enorme bisogno di giustizia che quel giorno verrà depositato nelle urne di voto.

Eppure pochi giorni fa l’UEC (Union Election Commission) ha revocato la possibilità di votare ad altri due comuni dello Shan State e quindi ai numerosi villaggi ivi presenti. Si aggiunge alla precedente restrizione del diritto di voto che aveva colpito poche settimane fa altre zone e interessato più di 400 villaggi. Secondo l’opposizione queste restrizioni mirano a influenzare il risultato finale a vantaggio dell’attuale oligarchia al potere. Gli interessi economici diventano precise strategie politiche di eliminazione dell’ostacolo.

E la Chiesa che fa in tutto questo? E qui viene il punto. Cosa avviene nelle parrocchie? Come i cattolici cercano di essere testimoni del Vangelo in una terra spesso ferita da calamità naturali e da ingiustizie clamorose come quelle evidenziate dalle cifre pocanzi menzionate? Nei giorni scorsi, attraversando villaggi e comunità, ho percepito la risposta a tale impertinente domanda. La Chiesa birmana ha infatti risposto con alcune interessanti note. La prima: parlando con un sacerdote di cui non rivelo il nome, mi ha detto che nella sua diocesi così come in altre, seguendo una precisa indicazione della Conferenza episcopale, ci saranno sessioni di adorazione continua, notte e giorno, a partire da due settimane prima delle elezioni. I cristiani a turno e secondo le loro disponibilità di tempo di alterneranno davanti al SS. Sacramento per pregare. In alcune diocesi – ha continuato il sacerdote – i cristiani hanno già incominciato, notte e giorno, a pregare. Laddove sono molti si comincia prima e si riesce a coprire un periodo di preghiera più lungo mentre laddove i cristiani sono pochi si farà il possibile ma “la Chiesa intera deve arrivare al giorno delle elezioni pregando”. Queste sono notizie che non compaiono nelle normali agenzie di stampa. Sono pietre preziose di inestimabile valore che il mercato non riesce a prezzare. Eppure la ricchezza di questa terra si esprime anche e soprattutto in questo modo. E alla domanda sul “per che cosa pregate”, il sacerdote ha risposto che la preghiera non cerca schieramenti. Si prega per avere “free and fair election”, ma soprattutto per avere un leader, non importa il colore, in grado di valorizzare e distribuire la ricchezza umana e naturale di questo immenso Paese. “Solo Dio può garantire un simile risultato, non la politica degli uomini”.

La seconda nota l’ho raccolta seguendo un altro sacerdote, parroco in una zona a sud di Yangoon dove il fiume Irrawaddy, carico d’acqua si apre a ventaglio creando l’ampio delta tristemente famoso perché colpito nel 2008 dal tremendo ciclone Nargis che costò la vita a più di 100.000 persone. Eppure il sacerdote anima una comunità di famiglie contadine, ne sostiene il lavoro agricolo, promuove un allevamento di più di 500 polli e con le uova sfama una moltitudine di ragazzi e studenti fino all’università. “Da sempre la carità è l’unica cosa che la Chiesa sa e deve fare”. Ha ormai quasi settant’anni, ma raccoglie la forza del fiume e la trasforma in grazia. Nello stesso giro ho incontrato anche il ricordo di padre Andrea, morto mentre cercava di avvisare i suoi parrocchiani dell’imminente arrivo del ciclone. Rientrando in barca dal giro di ricongnizione per raccomandare ai suoi fedeli di radunarsi in zone alte e protette, si è trattenuto troppo con alcuni di essi lasciandosi sorprendere dall’arrivo del ciclone. Avrebbe potuto evitare il giro, cercarsi subito un rifugio e mettersi in salvo. E invece la barca si è ribaltata e non è stato più ritrovato.

La terza e ultima nota sono in realtà tre. Si, tre sacerdoti della Little Way Institute, un piccolo istituto birmano di appena dieci sacerdoti e di altri cinque prossimi ad unirsi, nato con lo scopo della missione. Alcuni infatti sono già presenti in Cambogia e altri tre stanno lasciando Yangoon per approdare la settimana prossima in Papua Nuova Guinea. Dal Myanmar alla Papua per annunciare il vangelo. Questi posso almeno nominarli secondo il loro nome di battesimo: sono i padri Luigi, Moses e Thomas che hanno ricevuto il crocifisso alcuni giorni fa e sono pronti per l’avventura missionaria. Tutti e tre provengono da diocesi fondate dal Pime.

Ecco cosa accade nella Chiesa birmana oggi. Nessuna dichiarazione ufficiale, ma la “little way” della preghiera, della carità e della missione. Quindi della speranza in un Paese dove anche la religione con il Ma Ba Tha, minoranza per nulla significativa ma estrema e molto attiva del buddismo birmano, può piegarsi agli interessi e alle convenienze del potere.