«Noi cattolici siamo obbligati a partecipare al miglioramento della società», afferma monsignor Joseph Ha, vescovo ausiliare della città cinese, mentre infuria la protesta contro Pechino
«Siamo cattolici e facciamo parte della comunità civile. Secondo il catechismo della Chiesa cattolica e gli insegnamenti della dottrina sociale, noi siamo chiamati, anzi obbligati a partecipare al miglioramento della nostra comunità e alzare la voce di fronte all’ingiustizia». Così il vescovo ausiliare di Hong Kong, il francescano Joseph Ha, risponde alle domande di Mondo e Missione circa la travagliata vicenda che percorre la grande città.
Il vescovo Ha è diventato uno dei principali punti di riferimento morali del movimento di Hong Kong. È a lui che i cattolici guardano come guida in questi tempi tumultuosi. Il vescovo non è motivato da un’agenda politica, ma ispirato dalla fede nel Dio della storia. «La coscienza è il luogo prezioso dove risiede il potere più forte che Dio abbia concesso all’umanità. Desideriamo che sia proprio la coscienza ad aiutarci a trovare una via d’uscita dalla drammatica situazione di questi giorni e di questi mesi».
I mezzi che il vescovo Ha approva e promuove sono innanzitutto spirituali: «Noi credenti cattolici abbiamo le nostre preghiere quotidiane, la santa Messa, la santa comunione e altre vie spirituali. È così che nutriamo la nostra coscienza. È così che tutti possono riconoscere che siamo seguaci di Cristo. Non penso affatto che noi cattolici siamo migliori di altri o abbiamo soluzioni più efficaci. Al contrario, anche in questo tumulto riconosciamo i nostri limiti e peccati. Dobbiamo prestare molta attenzione alla nostra mente e alla nostra anima».
Chiediamo al vescovo quale sia il coinvolgimento dei fedeli cattolici nel grande movimento di protesta. «Molti sono desiderosi di comprendere, in questa vicenda, quale sia l’insegnamento sociale della Chiesa. Ci sono alcuni però che preferiscono mantenere le distanze dal movimento, e criticano il coinvolgimento di molti laici, religiosi, preti e vescovi».
Allora è sorta una divisione dentro la comunità ecclesiale? «Sì, certo, e man mano che il movimento procede cresce anche, in modo grave, la tensione nelle parrocchie e nei gruppi ecclesiali».
Questa tensione riguarda anche le numerose scuole cattoliche, che hanno un ruolo tanto importante per la formazione dei giovani nella società di Hong Kong? Per il vescovo «è ancora troppo presto per valutare l’impatto del movimento sulle scuole cattoliche. Temo però che anche qui ci saranno tensioni e persino scontri tra gli studenti e tra il personale docente. E, probabilmente, tra studenti da una parte e consiglio di amministrazione della scuola dall’altra».
Il vescovo Joseph Ha aveva già espresso preoccupazione e vicinanza ai giovani all’indomani degli incidenti del 12 giugno scorso. Passò tutta la notte nelle strade con i giovani, affermando che «il pastore sta dove sono le pecore». Rimane memorabile la commovente omelia, pronunciata con grande partecipazione emotiva lo scorso 13 giugno, in cui riuscì ad interpretare ed esprimere i sentimenti di tanti giovani e di tanti cattolici. Le immagini e le parole di quella omelia divennero virali. Vale la pena riportare almeno qualche passaggio. «Non avrei mai pensato che ad Hong Kong potesse succedere tutto questo. Sono nato e cresciuto a Hong Kong; qui ho la mia famiglia e le persone che amo! Tutto ciò che vogliamo è vivere in libertà, avere delle garanzie per la nostra vita, avere la libertà a cui tutti hanno diritto e non vivere più nella paura. Chiediamo troppo? Davvero non lo meritiamo? (…)
Quando ascolto i giovani, vedo e sento che l’umanità è bella e buona. Nonostante tante ingiustizie, l’umanità continua a risplendere, i giovani si sostengono a vicenda. Gesù ci ha insegnato che la vera legge è prendersi cura dell’altro, ad amare e persino sacrificarsi per il prossimo. Ho visto tanti giovani, sono molto addolorato, ma nel mio dolore c’è anche una grande ammirazione. Tutto quello che possono fare è scendere in strada e gridare le loro richieste. Chiediamo troppo? Mentre venivamo qui, il mio cuore stava piangendo. Ma ringrazio il Signore che ha dato giovani alla società di Hong Kong. Ho visto l’immagine del Signore scritta nel profondo della loro anima».
Fin dall’inizio delle manifestazioni, le Chiese cristiane hanno avuto un ruolo fondamentale, di sostegno e moderazione allo stesso tempo. “Sing halleluiah to the Lord”, il canto religioso cantato sia nelle chiese protestanti sia in quelle cattoliche, è divenuto l’inno di fatto delle grandi manifestazioni. Un ecumenismo “di strada” molto significativo.
I missionari del Pime sono presenti nella città cinese dal 1858, si tratta di una delle più antiche e prestigiose missioni del Pime. Anche loro, sempre a stretto contatto con la popolazione, condividono le gravi tensioni e l’ansia per la sicurezza della città e della sua gente.
Nessuno sa come la vicenda di Hong Kong andrà a finire. Dallo scorso 9 giugno la città è in subbuglio, in una accelerazione di eventi e incidenti, sempre più gravi, che sembrano essere sfuggiti al controllo. La miccia è stata la proposta di legge sull’estradizione che avrebbe minato la sicurezza della libertà e dell’esercizio imparziale della giustizia. Alla domenica di un milione di dimostranti (9 giugno) è seguita la domenica dei due milioni di cittadini (16 giugno), scesi in piazza pacificamente, in una città che ne conta sette. In numerose altre domeniche le manifestazioni hanno raccolto centinaia di migliaia di persone. Clamorose sono state le occupazioni del Parlamento e dell’aeroporto internazionale, uno dei più importanti al mondo. All’inizio di settembre la governatrice di Hong Kong, Carrie Lam, ha annunciato il ritiro della controversa proposta di legge, ma il movimento di protesta ora chiede di più.
È impossibile fare previsioni sull’esito delle proteste. Nessuna analisi può essere esaustiva, poiché gli eventi di Hong Kong hanno un altissimo tasso di imprevedibilità e persino di irrazionalità: nessun osservatore aveva immaginato un’estate tanto drammatica.
Ci sono stati momenti di violenza sia da parte della polizia, sia da parte di una piccola minoranza esasperata dei manifestanti (tra loro infiltrati inviati ad accendere gli animi). Nei momenti di tensione infatti prevalgono i violenti, nonostante la grande maggioranza sia assolutamente ragionevole e pacifica. Sono intervenute persino bande mafiose a picchiare impudentemente per conto terzi cittadini inermi.
Abbiamo chiesto al vescovo Joseph Ha se abbia un messaggio per i lettori di Mondo e Missione, e per le comunità ecclesiali italiane. Ecco la sua risposta: «Il governo cinese dichiara enfaticamente che i Paesi stranieri non devono intervenire negli affari di Hong Kong. Però, in verità, alle autorità della Cina importa molto come la gente di altre nazioni giudica gli eventi in corso. Hanno, come diciamo noi cinesi, paura di “perdere la faccia”. Pertanto vi inviterei innanzitutto a prestare attenzione a ciò che sta accadendo a Hong Kong. Ogni volta che c’è la possibilità, ad esempio incontrando un amico cinese, un funzionario o un commerciante o chiunque altro, sollevate il problema. Fate loro capire che nel mondo tante persone sono preoccupate. Inoltre la preghiera è essenziale per noi, poiché crediamo in Dio che è il vero Maestro della storia. Non c’è un rifugio migliore del Signore!».
Hong Kong non è nuova a gravi crisi che sembrano comprometterne la sopravvivenza. Ma ha superato gravissime situazioni nel passato dimostrando grande resilienza. Il vescovo Ha e i credenti continuano, nonostante tutto, a nutrire sentimenti di speranza per la meravigliosa Hong Kong.