Il clima politico di Hong Kong è sempre più simile a quello della Cina: criticare le autorità è diventato un reato. Da oggi in avanti siamo in un territorio nuovo, sconosciuto e, temiamo, molto pericoloso
Mentre scrivo queste righe nel mio ufficio di Monza, a Hong Kong sono le ultime ore di questo giorno tristissimo, il 1 luglio 2020. Il giorno in cui Hong Kong, come l’abbiamo conosciuta e amata, comincia a non esserci più. Io sono qui, ma la mente, il cuore, l’anima sono là.
Da oggi in avanti siamo in un territorio nuovo, sconosciuto e, temiamo, molto pericoloso. Siamo in una situazione di “nepantla”, una parola Azteca che ho imparato in Messico. Vuol dire “stare nel mezzo”, e non sapere cosa fare. Siamo nel passaggio tra una situazione familiare a una sconosciuta e angosciosa. È il sentimento che provo ora: non mi capita mai di iniziare un articolo senza essere sicuro di quello che voglio scrivere, o meglio di quello che posso scrivere.
A Hong Kong in questo momento migliaia di persone stanno protestando. Fin dal 1997, il primo luglio è stato un giorno dedicato a grandi e pacifiche marce a favore della democrazia. Quella di quest’anno non è stata autorizzata. Nel frattempo, alle 23 di ieri, è entrata in vigore la nuova legge sulla sicurezza nazionale. Se ne sta conoscendo il testo solo ora. Nel frattempo decine di persone a Hong Kong vengono arrestate sotto la nuova legge, che sicuramente non hanno potuto leggere. Rischiano molto.
Hong Kong non ha partecipato in nessun modo alla stesura della legge. Non il parlamento di Hong Kong, naturalmente. Ma neanche Carrie Lam. Su di lei ho già scritto. Basta così. La nuova legge è inserita come allegato alla Legge Base di Hong Kong. Ha 66 articoli, e colpisce i reati di secessione (ovvero supportare l’indipendenza di Hong Kong, anche solo sventolando una bandiera); di sovversione (ovvero criticare il potere e l’autorità del governo centrale); terrorismo (sotto cui cade qualsiasi forma di ‘violenza politica’ a persone o cose); collusione con forze straniere.
Solo Pechino potrà interpretare la legge, e in caso di conflitto tra legge locale e quella nazionale, la seconda prevale. Inoltre alcuni casi possono essere giudicati a porte chiuse, e gente sospettata può essere sottoposta a intercettazioni e a sorveglianza.
Un’agenzia di sicurezza politica inviata da Pechino, completamente autonoma dalle legge locali, ha il potere di implementare questa legge. Casi ‘complicati’ possono essere estradati e giudicati in Cina.
In Cina, questi reati reprimono qualsiasi forma di dissenso, anche il più pacifico e legittimo. A Hong Kong ora sono pure previste condanne molto gravi, da 10 anni fino all’ergastolo.
Il clima politico di Hong Kong è sempre più simile a quello della Cina: criticare le autorità diventa un reato. Molta gente ha cancellato dai propri social cose scritte nel recente passato. Molti giornalisti si chiedono se possono continuare a fare il loro lavoro come prima. Temo di no. Joshua Wong, leader del movimento degli ombrelli del 2014 ha sciolto il suo partito politico. Molte altre organizzazioni sociali o politiche di base si stanno sciogliendo. Anson Chan, la popolare politica numero due di Hong Kong per molti anni si è ritirata nei giorni scorsi a vita privata. La gente si sta riposizionando, come è giusto che sia. Ognuno deve fare le sue scelte in base alle proprie priorità. Niente è come prima.
La Gran Bretagna promette ospitalità ai residenti di Hong Kong in possesso del passaporto BNO (British National Overseas). Mi sembra l’unica concreta reazione internazionale degna di nota. Per il resto sembra proprio che la pandemia abbia anestetizzato la percezione internazionale del dramma che si sta compiendo.
Nella chiesa cattolica di Hong Kong, senza il vescovo ordinario dal 3 gennaio 2019, si rischia -Dio non voglia- una ulteriore polarizzazione dei sentimenti e delle posizioni. Mi chiedo cosa succederà agli amici della commissione di Giustizia e Pace, e a tanti altri impegnati in prima fila, sempre pacificamente, nel movimento per la democrazia. Suppongo che i missionari stranieri (il Pime opera nella meravigliosa Perla d’Oriente fin dal 1858) non avranno, in quanto tali, immediate conseguenze. Fino a quando? Cosa si intende per ‘forze straniere’? La legge riguarda tutti i cittadini di Hong Kong, permanenti o no. Noi missionari siamo residenti permanenti.
Personalmente, se posso esprimere i miei sentimenti, sono straziato. Ho visitato Hong Kong la prima volta nel 1991. Dal 1994 è stata, per 23 anni, la mia residenza permanente. Dopo questa parentesi italiana desidero tornarci, per spendere gli anni che mi restano. Ho amici e studenti carissimi, che nei mesi della pandemia mi hanno inviato a loro spese migliaia di mascherine. Ho scritto e parlato tanto su Hong Kong nell’ultimo anno. Non penso certo di aver avuto sempre ragione, ma ho scritto e parlato con sincerità e libertà. Mi sono sentito come una persona affranta che accompagna impotente un familiare o amico, malato terminale, alla sua fine. Da tempo non mi facevo illusioni. Ora non so cosa devo fare. Davvero non lo so. Nepantla.