Rispetto al mondo circostante la nostra scuola in Cambogia si sta rivelando un microcosmo, una palestra dove tentare altre vie, in barba al partito unico. Il punto di forza è che anche noi siamo unici, non solo il partito!
«In un campo deve pur esserci un poeta,
che da poeta viva anche quella vita
e la sappia cantare», Etty Hillesum
Alcuni giorni fa la nostra scuola media ha concluso il programma didattico del suo primo anno di vita. Aperta lo scorso novembre 2017, ora riposa per qualche settimana… Il bilancio di questo primo anno è positivo, il numero degli studenti è destinato a crescere anche se qualche tensione è alle porte, in un ambiente sociale segnato da un arrogante pensiero/partito unico, confermato dai risultati delle elezioni politiche dello scorso 29 luglio 2018. Il partito di Hun Sen, il Cambodian People’s Party (CPP), si è infatti aggiudicato tutti i 125 seggi dell’Assemblea Nazionale. In realtà i partiti in corsa erano 20, ma gli altri 19 si sono rivelati fantocci, creati per assicurare una democrazia apparente e accontentare i molti e inutili osservatori esterni accorsi per monitorare le elezioni. L’unica opposizione era costituita dal Partito di Salvezza nazionale della Cambogia (CNRP), ma è stato tolto di mezzo con cause giudiziarie e minacce pesanti.
Alcuni giorni prima del voto, un funzionario del governo è venuto ad invitare i nostri studenti ad una parata per sostenere Hun Sen e il suo partito. Il nostro giovane preside ha però declinato l’invito e con coraggio ha ribattuto che «la scuola è un luogo educativo che non presta il fianco alla propaganda politica». Poi Hun Sen ha vinto ed è ancora il nostro Primo Ministro! Lo è in realtà dal 1985, quando fu messo a capo di un governo filovietnamita. Nel gennaio del 1979 il Vietnam, vittorioso sugli Stati Uniti e appoggiato dalla Russia, non ebbe difficoltà ad invadere la Cambogia. Se da una parte questo significò la sconfitta dei Khmer Rossi e la liberazione del Paese dallo spettro della morte, dall’altra inaugurò un periodo di sudditanza protrattasi fino ai giorni nostri, bilanciata solo dai buoni rapporti che Hun Sen intrattiene con la Cina, nemica del Vietnam.[1]
Per molti cambogiani residenti all’estero, le scorse elezioni sono state «il funerale della democrazia». Stati Uniti, Australia e Unione Europea dopo il voto hanno minacciato di ridurre le importazioni dalla Cambogia per costringere il governo a scendere a patti e a non concedersi solo alla Cina. L’Unione Europea è il secondo partner commerciale della Cambogia. Nel 2017 ha importato beni per un valore di 5.8 miliardi di dollari. Nello stesso periodo gli Stati Uniti hanno invece importato dalla Cambogia beni per un valore di 3.1 miliardi di dollari. Ci sarebbe quindi partita se l’Europa e l’America di Trump fossero uniti a favore dell’umano e del suo destino.
Ché però più della metà dei nostri studenti abbia almeno un genitore in Thailandia per lavoro è motivo di grande insicurezza sul futuro. Fino a quando potranno frequentare la scuola senza essere spediti all’estero o assoldati per un qualsiasi tipo di lavoro? Al termine delle scuole medie alcuni degli studenti vorrebbero continuare presso il nostro liceo a Prey Veng, la prima scuola fondata negli anni 2007/2008, a dire che il sapere genera sapore, gusto per la vita, desiderio di riscatto.
Ormai da mesi tutti, al mercato o nei villaggi attorno, conoscono la scuola e la chiamano «la scuola di Gesù». Forse per la mia presenza, o per il fatto che all’inizio temevano che l’iscrizione alla scuola comportasse anche l’iscrizione nei registri dei battesimi, di fatto ci chiamano così e a me fa piacere. Lo dico spesso ai ragazzi, dei quali nessuno è cattolico: «senza Gesù non sarei mai venuti qui!».
A dire il vero, alcuni di loro avrebbero sfilato per il partito. In genere chi partecipa a queste parate ha diritto ad un compenso, pochi dollari, e al rimborso della benzina… insomma incentivi in denaro che motivino l’appartenenza politica. Niente idee, solo tornaconto e convenienza. Spiegare loro che la libertà non si compra, che ciascuno ha una coscienza e può scegliere diversamente, è stato avvincente. Ne è uscita una bella chiacchierata al termine della quale abbiamo capito che ci restano solo la testa, il cuore e la parola. La scuola, la coscienza, il dialogo tra di noi su tutto, tanto più se sollecitati da quello che accade.
Rispetto al mondo circostante la nostra scuola si sta rivelando un microcosmo, una palestra dove tentare altre vie, in barba al partito unico. Il punto di forza è che anche noi siamo unici, non solo il partito! Sento che questo processo educativo è anche un processo creativo e quindi poetico. Nella versione greca dell’Antico Testamento per descrivere la creazione dell’uomo (Genesi 1,27: «Dio creò l’uomo») viene usata la forma verbale εποίησεν, da ποιέω, che significa fare, creare, da cui deriva anche la parola ποίησις, poesia. Si potrebbe quasi dire che in principio Dio «poetò» l’uomo o che l’uomo è poesia di Dio, l’esito di un Suo atto poetico-creativo. Creazione, educazione, poesia sono parte di uno stesso atto di Dio. Ha ragione Bartolo Cataffi (1922-1979), poeta poco conosciuto ma forte, quando scrive che «la poesia appartiene alla nostra più intima biologia, condiziona e sviluppa il nostro destino (…). Poesia è dunque per me avventura, viaggio, scoperta (…) tentata decifrazione del mondo, (…) cruento atto esistenziale».[2] Ecco, con la scuola, alla dittatura di ogni colore, noi reagiamo con «un cruento atto esistenziale». Qualcuno «che da poeta viva anche questa vita e la sappia cantare» (Etty).
[1] Per approfondire sugli ultimi 30 anni di politica in Cambogia – https://www.bbc.co.uk/news/world-asia-44966916
[2] G. SPAGNOLETTI, La poesia che parla di sé. Voci del Novecento, Salerno – Roma 1996, 168 e ss.