Le similitudini con quanto avvenuto a Mumbai nel 2008. I timori per le minacce all’India, oggi alle prese con nuove tensioni che il radicalismo induista non aiuta ad allentare. La situazione di Paesi come Bangladesh, Indonesia, Malaysia e Pakistan al tempo stesso centrali di reclutamento del jihadismo globale, teatro di operazioni destabilizzanti e centri della persecuzione di non-musulmani e di musulmani moderati
L’Asia – che ospita le più popolose comunità musulmane e che insieme è profondamente legata a dinamiche internazionali ed è area di reclutamento e di azione del radicalismo islamico, incluse le sue propaggini terroriste – non poteva non essere influenzata dalla strage di Parigi del 13 novembre
A partire dall’India, in questi giorni in allarme per potenziali attacchi. Da subito, i fatti della Ville Lumière sono stati paragonati a quelli di Mumbai del 26-29 novembre 2008. In quel caso, un commando terrorista proveniente dal Pakistan e sbarcato sulla costa della città colpì la grande stazione ferroviaria della metropoli che è anche maggior centro economico e finanziario del paese, e poi un ospedale, una sinagoga, un ristorante, diversi alberghi. Le vittime furono 164, persone di ogni condizione e fede uccise con il solo scopo di seminare il terrore. Oltre 300 i feriti, otto gli assalitori uccisi e uno sopravvissuto, condannato a morte.
Da allora, l’allarme terrorista si è levato più volte e l’aperta sfida di Al Qaeda al governo indiano con l’apertura ufficiale di un nuovo fonte sub-continentale nel 2013 e (più di recente) l’intenzione espressa da Is di operare anche su questo immenso e delicato fronte, lo hanno accresciuto. La pressione del radicalismo induista sulla folta comunità musulmana (160 milioni) si avvale dallo scorso anno della tutela del governo nazionalista guidato da Narendra Modi e di conseguenza estende l’area di insoddisfazione, che è terreno di coltura dell’estremismo islamista e delle sue affiliazioni armate. Presenti in buon numero in India, autonome o più spesso in collegamento con i gruppi indipendentisti nel Kashmir conteso con il Pakistan, che a sua volta offre rifugio e assistenza attraverso i suoi servizi segreti alle centrali jihadiste in funzione anti-indiana e anti-afghana.
Le ripercussioni della strage parigina e degli eventi successivi sono comunque più ampie e hanno coinvolto inevitabilmente la grande assise dell’Apec (Cooperazione economica Asia-Pacifico) che sta raccogliendo a Manila (anch’essa in allerta per le minacce dell’auto-proclamato Califfato islamico) i leader di 21 Paesi a economia sviluppata e in via di sviluppo che assommano il 57% del Pil mondiale, oltre la metà del commercio globale e più di tre miliardi di individui. Un vertice con la partecipazione di Barack Obama, Xi Jinping e altri capi di stato e di governo, con al centro i rapporti economici, le tensioni territoriali, le strategie focalizzate nell’area e, inevitabilmente, la minaccia terroristica.
Segnalata la necessità della convergenza tra le esigenze di paesi attivi nei centri di conflitto in Medio Oriente e Asia, come Stati Uniti e Russia, con altri che sono a loro volta a rischio come potenziali obiettivi (Australia, India, economie sviluppate dell’Estremo Oriente, Cina, Filippine) e altri ancora che – ospitando una maggioranza di popolazione islamica (Bangladesh, Indonesia, Malaysia, Pakistan) – sono allo stesso tempo centrali di reclutamento del jihadismo globale, teatro di operazioni destabilizzanti e centri della persecuzione di non-musulmani e di musulmani moderati.