La rilettura di un antico filosofo cinese ripropone, a cent’anni dalla nascita, la figura di uno dei più grandi pensatori americani del XX secolo: monaco, scrittore, paladino dei diritti civili
A cento anni dalla nascita, le Edizioni Paoline ripubblicano a oltre vent’anni di distanza La via semplice di Chuang Tzu; uno dei testi più interessanti del monaco americano Thomas Merton, monaco americano, scrittore, paladino dei diritti civili e della non violenza. La sua rilettura di Chuang Tzu, filosofo cinese vissuto tra il IV e il III secolo a.C., continua a parlare anche al mondo occidentale e a mostrare, appunto, la “via semplice: la rivoluzione del divenire pienamente umani. Anticipiamo uno stralcio del testo di Merton.
Non ci vuole molto per rendersi conto dello humour, della raffinatezza, del genio letterario e dell’intuito filosofico di Chuang Tzu, ma per poter cogliere anche solo in parte il suo pensiero lo si deve collocare nel suo contesto storicoculturale. Ciò significa che bisogna avere una visione globale del confucianesimo, che egli non esitò a mettere in ridicolo, e di tutte le altre scuole di pensiero cinesi ufficiali, da quella di Mo Tze a quella di Hui Tzu, un contemporaneo di Chuang, che fu suo amico ed eterno rivale. È necessario anche tenere conto di coloro che vennero dopo di lui, poiché sarebbe un grave errore confondere il taoismo di Chuang Tzu con l’amalgama popolare di superstizione, alchimia, magia e culto della salute in cui quella filosofia sarebbe degenerata.
I veri eredi del pensiero e dello spirito di Chuang Tzu sono i buddhisti cinesi Zen del periodo T’ang (dal secolo VII al X d.C.), tuttavia Chuang Tzu continuò a esercitare il proprio influsso su tutte le correnti di pensiero cinese, in quanto fu in ogni tempo riconosciuto come uno dei più grandi scrittori e filosofi del periodo classico.
Il Taoismo sottile, sofisticato e mistico di Chuang Tzu e Lao Tzu ha lasciato un’impronta indelebile su tutta la cultura cinese e sul carattere stesso di quel popolo. Personaggi autorevoli come Daisetz T. Suzuki (uno studioso giapponese dello Zen) definiscono Chuang Tzu come il più grande filosofo cinese in assoluto, ed è comunque indubbio che il genere di insegnamento propugnato da Chuang Tzu ha contribuito a trasformare il buddhismo indiano altamente speculativo nel buddhismo umoristico, iconoclasta e decisamente pratico di cui sarebbero state permeate le varie scuole Zen della Cina e del Giappone. Lo Zen fa luce su Chuang Tzu e Chuang Tzu fa luce sullo Zen.
Occorre però stare in guardia. Il riferimento allo Zen, che viene spontaneo in un’epoca in cui esso è ancora piuttosto popolare nel mondo occidentale, può essere d’aiuto, ma nello stesso tempo può costituire uno stereotipo fuorviante. Ci sono parecchi lettori occidentali che in un modo o nell’altro hanno sentito parlare dello Zen, e magari ne hanno anche avuto un assaggio diretto. Ma assaggiare è una cosa, inghiottire un’altra, soprattutto quando con un semplice assaggio si pretende di identificare l’oggetto in questione con uno che un po’ gli assomiglia.
Lo zen è diventato di moda in certi ambienti occidentali sull’onda di una spinta confusa al rinnovamento spirituale ed è sinonimo di un comprensibile rifiuto di talune tradizioni spirituali e formalismi etico-religiosi. Esso è sintomatico del bisogno disperato dell’uomo occidentale di ritrovare spontaneità e profondità in un mondo che il progresso tecnologico ha reso rigido, artificiale e privo di spiritualità. Ma è proprio in questo tentativo di recuperare un’autentica esperienza sensoriale che lo Zen occidentale ha finito col coincidere con uno spirito di improvvisazione e sperimentazione, una specie di anarchia morale in cui ci si dimentica quale dura disciplina e severità di costumi comporti lo Zen cinese e giapponese.
Lo stesso vale per Chuang Tzu: lo si potrebbe tranquillamente interpretare come il divulgatore di un vangelo della licenza e della sfrenatezza. Ma sarebbe lui il primo a spiegare che non si può dire alla gente di fare ciò che vuole quando in realtà non sa neppure che cosa vuole! MM