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Icona decorativaIcona decorativa22 Febbraio 2021 Stefano Vecchia

L’Alta Corte di Tokyo: indennizzi agli sfollati di Fukushima

A pochi giorni dal decimo anniversario il tribunale supremo del Giappone ha confermato in un giudizio la responsabilità del governo e della società elettrica che gestiva l’impianto nell’incidente alla centrale nucleare. Mercoledì una serata in streaming sui «dimenticati di Fukushima» e la corsa al nucleare ripresa in grande stile in Asia
  Venerdì 19 febbraio l’Alta corte di Tokyo ha emesso il giudizio sulla causa intentata da una quarantina di cittadini costretti ad evacuare la zona colpita dalla catastrofe dell’11 marzo 2011, confermando che il governo e la Tepco (Tokyo Electric Company) l’azienda energetica che gestisce la centrale atomica di Fukushima-1 sono corresponsabili per non avere previsto eventi di tale gravità. Di conseguenza, dovranno provvedere, in parte congiuntamente, a indennizzi che sono stati indicati complessivamente in 278 milioni di yen, circa 2,2 milioni di euro. Si avvicina la data del decennale del terremoto di magnitudine 9.0 e del successivo tsunami tra i più devastanti registrati nella storia che l’11 marzo 2011 hanno colpito aree costiere del Giappone nord-orientale. Questo evento, già in sé di grande significato per le dimensioni della devastazione e le quasi 20mila vittime, ha anche avviato la crisi nucleare che ha fatto tornare il Paese del Sol levante nella paura e nel dubbio. Paura per il riaffacciarsi di un rischio atomico dopo la devastazione di Hirosima e Nagasaki e successive avarie di reattori in funzione; dubbio sulle reali potenzialità dei sistemi di controllo, sulle vere capacità di intervento e anche sul ruolo che l’energia nucleare potrà avere in futuro in un Paese che necessita di elevatissime quantità di energia ma che ha poche risorse naturali proprie da utilizzare. La catena di eventi successivi all’inizio dell’avaria nei reattori della centrale di Fukushima 1 (Fukushima Dai-ichi) ha costretto migliaia di abitanti a lasciare aree limitrofe all’impianto, sia per la fuga di radiazioni, sia per i rischi costanti che la difficoltà a rimettere sotto controllo i reattori ha comportato. Al punto che a distanza di dieci anni, almeno 40mila giapponesi sono costretti a risiedere altrove, a volte in condizioni difficili, senza avere ottenuto adeguato riconoscimento della loro condizione e un sostegno adeguato. Sono una trentina le cause di gruppo intentate finora e il giudizio del 19 febbraio è il primo dei tre arrivati a conclusione ad avere riconosciuto esplicitamente il ruolo di chi aveva la responsabilità ufficiale nell’individuazione dei rischi e nella gestione della crisi in quello che è stato il peggiore disastro nucleare della storia dopo quello di Chernobyl del 1986. Leggendo la sentenza, il presidente della Corte, Yukio Shiraishi, ha sottolineato come sia stato “fortemente irragionevole” che il governo non abbia usato i suoi poteri per costringere la Tepco a prendere misure di prevenzione adeguate per evitare le conseguenze dello tsunami che ha provocato l’incidente nucleare. Il giudizio di Tokyo, come altri in corso, si è concentrato soprattutto sulla capacità del governo di anticipare eventi disastrosi con adeguate misure preventive in base allo studio nazionale sui terremoti reso pubblico nel 2002.    

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